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Silvester Inside

7 Gen

Buon 2010.

Potrebbe anche bastare, se non fosse che il Capodanno, regolarmente, è una di quelle feste o celebrazioni a cui diamo più importanza di quanta ne meriti.

Ho sentito amici impegnati da settimane per il cenone; altri invece schifati e decisi ad andare a letto alle 11 precise. Alcuni aspettano quasi apposta l’ultimo minuto per aggregarsi ad una compagnia (e non doverci pensare troppo). C’è poi chi si spreca in analisi dell’anno, anzi del decennio, e prova a pronosticare il futuro – che immancabilmente appare tetro.

Indubbiamente gli anni passati non sono stati né leggeri né facili. Ma sono sicuro che nella storia di ognuno ci sia anche del buono da salvare, quindi ricordare. Su quello possiamo costruire. E certamente domani ci saranno ancora difficoltà, dolori e soprattutto confusione (mi sto rendendo conto che è uno dei nostri peggiori drammi: ne riparleremo). Ma come non pensare anche alle nuove opportunità, alle conferme che ci sostengono, alla possibilità che le cose, in fondo, se lo vogliamo, possano andare tutto sommato bene?

Allora lascerei che il Capodanno, senza caricarlo di troppi significati positivi o negativi, sia giusto l’occasione per segnare il momento – quali che siano i percorsi su cui ci troviamo. Perché l’unico modo per raggiungere la meta è camminare.

Quanto al mio Capodanno: una riuscita festa fra amici nuovi ma vicini, mangiando e bevendo bene, in allegria, nella cornice accogliente della Val Sarentino. What else?

Al solito, tutte le foto della serata si possono vedere su Flickr.

Via ferrata, dentro e fuori

10 Lug

Avvicinamento: Sassolungo

Quando avevo deciso di partecipare alla gita del CAI in questo pallido inizio d’estate, non avevo idea di come mi sarei sentito sul pullman che c’avrebbe portato nel cuore delle Dolomiti, al cospetto del Sella. Nel portafogli conservo la vecchia foto della storica tessera di socio del Club Alpino Italiano: data del primo bollino, 1988. Appena 5 anni, merito dei miei genitori se già allora entravo in contatto con la montagna. A gennaio 2009 erano passati 4 anni dall’ultimo rinnovo e anche la foto andava aggiornata: in mezzo c’erano università, città, nuovo mondo e tante esperienze.

Avevo voglia di tornare a partecipare, a muovermi con gli altri, ad approfittare della tradizione e della forza di un gruppo che ama e rispetta la montagna e la natura intera. Iscrivermi nuovamente e scegliere la sezione di Milano è stata un’ottima scelta: ambiente vario, tanti giovani, spirito d’azione. Aspettavo solo l’occasione per buttarmi anch’io, e l’escursione di due giorni al Sassopiatto per la Ferrata Oskar Schuster si offriva su un piatto d’argento. Non volevo proprio perdermela!

Sassopiatto è ormai sinonimo di tante bellezze e prelibatezze per me, elementi di un quadro cui sono affezionato. La ferrata è un’esperienza che volevo provare, forse memore del corso d’alpinismo o spinto dalla voglia di passare la dove non tutti osano, dove la roccia è viva e dialoga con te. Solo l’inverno in ritardo, che dopo un lungo disgelo si era arroccato nei canali fra le pareti nord di tutte le Alpi, mi facevano temere per la camminata. Timori ragionevoli, smentiti dai fatti.

Difficile dormire la notte prima della gita. Tanta curiosità, attesa, eccitamento per quello che deve ancora venire. Poi prepararsi ed uscire è facile. Trovare il pullman e incontrare le prime persone scorre via liscio. E non appena siamo tutti sulla stessa barca a sei ruote ci si conosce, si offrono torte, si ride e si studia il territorio, colpito dalla dura tempesta notturna. Mi sembra di essere in partenza alla gita scolastica di un corso per adulti: scuola di socialità per educarsi a condividere.

Il tempo scorre lento, scandito dal conto alla rovescia per quando avremo gli scarponi ai piedi. La nostra guida e gli altri accompagnatori illustrano il percorso e le opzioni: non mentono ma sanno che la ferrata è fortemente in dubbio. La responsabilità di 25 delle 50 persone non è un fardello leggero, neppure per navigati stambecchi d’alta quota. E il branco ha le sue regole, la sua dimensione critica che non si può ignorare: in una via, anche la più semplice, ci si ritrova tutti compagni, legati agli altri fisicamente e spiritualmente. Il destino del gruppo è quello di ogni singola persona.

Quindi la sosta a Canazei è irrinunciabile, anche se un po’ fredda (i valligiani non aiutano, purtroppo); la salita con la costosa e assurda ovovia da 2 persone un obbligo. Ma se si comprendono le ragioni del fare gruppo, allora si condividono anche questi momenti e li si conservano come originali momenti, buoni per una zuppa e quattro risate. E non c’è pile o tisana che possa far meglio di una risata tra persone che appena si sono conosciute.

La neve, ai 2600m della forcella fra Sassolungo (Langkofel) e Sassopiatto (Plattkofel), è subito protagonista e trasforma una facile discesa tra gli aguzzi denti dei due Sassi in un divertente scivolone, frenato da gradini improvvisati e scarponi usati come sci. In ogni caso il rifugio Vicenza è vicino e pronto a ristorarci con un aperitivo d’alta quota. Godersi lo spettacolo verticale della roccia mentre sull’alpe di Siusi si allungano le ombre serali trasforma l’ordinario sabato sera, che a Milano si sarebbe spento tra cocktail e chiasso modaiolo.

Mi accompagna invece una birra di frumento e la scoperta sempre più piacevole dell’allegra banda CAI: l’atmosfera è quella identica di quando da bambino giocherellavo fra vecchi alpinisti cercando di farmi notare. Nelle gite del CAI si genera una dimensione conviviale che rompe le distanze fra persone, annulla l’età e cancella i timori. La montagna certamente serve da collante per unire tutti gli elementi: eppure non posso che stupirmi davanti alla semplicità con cui diventiamo conoscenti e poi amici.

La cena è la ciliegina sulla torta: abbondante, gustosa, grassa e locale. Non manca nulla. Di nostro ci mettiamo tanta allegria e le ultime energie conservate gelosamente e spese con gioia. La decisione intanto, al tavolo delle guide, sembra presa: si farà la ferrata. Le rassicurazioni del rifugista e le notizie raccolte bastano a convincere che la via è aperta, già battuta, magari un po’ innevata ma per questo motivo ancora più ambita. Ci ritiriamo per caricare le batterie e il primo giorno, l’Avvicinamento al cospetto del Sassolungo, si chiude fra rumori molesti e sogni di roccia…

Ferrata: Sassopiatto

Perché la roccia sarà protagonista di questa giornata. La roccia e la neve, il ghiaccio e le ombre fredde della via sulla parete nord-est del Sassopiatto. Il risveglio rincorre l’alba per via degli animi impazienti al cospetto della montagna. Rassettiamo le nostre cose e facciamo scorta di calorie; fuori l’aria è fresca e pulita, mentre lo sguardo si perde a cercare il sinuoso sentiero che porta all’attacco della ferrata.

Presto un serpentone di trenta persone di muove ordinato e composto; regna un silenzio celebrativo, quasi ossequioso. Sappiamo che solo oltre la prima catena potremo considerarci davvero a contato con la roccia, mani e piedi, corpo e spirito. Ma l’ultimo ripido traverso in mezzo alla neve gelata, quando già si intuisce la traccia pressoché verticale sopra di noi, fa temere per la prosecuzione della camminata.

Per guide ed accompagnatori questi sono i momenti più importanti, davvero critici. Proseguire significa caricarsi della responsabilità di ogni persona e del gruppo intero; rinunciare porta inevitabilmente sconforto e delusione. Cosa scegliere, quando una ferrata si preannuncia più difficile del previsto, quasi una via alpinistica con magari qualche passaggio non previsto al di sopra delle capacità del gruppo?

La colonna si ferma per attrezzarsi, poi abili piedi davanti a tutti iniziano a segnare gradini nella neve, seguono la roccia abbracciandola e superandola, studiano la via migliore per ascendere la cima. La scelta è presa, nessuno si ritira: solo i posteri a questo punto potranno giudicare la bontà o l’avventatezza delle nostre azioni.

Avventura e suspense non mancano di certo. Siamo una lunga fila, lenta e complicata da certe inesperienze. Il sole splende ancora ma non certo sui nostri corpi infreddoliti, battuti spesso da un vento pungente, mentre dense nuvole si affacciano dietro le cime. Un compagno scivola giù per un canalino ghiacciato: è il momento più difficile. Per fortuna e per abilità non si fa male e ritorna in colonna: l’adrenalina lo carica come mai prima, ma la paura si prenderà la sua rivincita presto o tardi.

Sono passaggi d’alpinismo e traversi sul ghiaccio, poca ferrata assicurata con catene e funi. Si arrampica oggi, si fa esperienza sulla nuda roccia. Buttiamo qualche tiro di corda per tranquillizzare gli animi, eppure si sentono commenti poco allegri. Ma a poco a poco, ora dopo ora e metro dopo metro, il Sassopiatto si fa stretto e piccolo sopra le nostre teste: la cima non è più così lontana. Dai che è quasi fatta!

Io salgo tutta la ferrata nelle ultime posizioni, cercando di concentrarmi tanto fuori quanto dentro. Impegno e rispetto, verso tutti e verso ogni cosa. Sei cosciente di avere tra le mani la tua stessa vita e riscopri quanto sia preziosa, in ogni respiro e ogni sguardo. Quando ormai intravedi la croce sulla colma sommitale ti rendi conto delle meravigliose viste che hai avuto lungo la via, e trovi la pace assoluta per fare tue le emozioni uniche dell’esperienza appena conclusa.

Ora partono i sorrisi e le risate, i ringraziamenti e gli abbracci: è gioia che esplode, felicità senza più i freni della mente! Momento buono anche per foto e spuntino, assolutamente meritato (visto che sulle spalle ho portato anche un carico di frutta fresca, pane e altre buone cose!). Poi le guide conducono la veloce discesa verso il resto del gruppo CAI, per pranzare e riposare a dovere.

La sosta non poteva essere migliore: il rifugio Sassopiatto. Sono innamorato del luogo, dell’accoglienza e delle pietanze che si assaporano in un’atmosfera di convivialità che ha pochi rivali, almeno nella mia esperienza. Succo di sambuco, torta di grano saraceno e strudel coronano la mia domenica mattina: potrei sdraiarmi e non fare altro per il resto della giornata, appagato e felice. Ma ovviamente dobbiamo tornare al Passo Sella, al pullman, a Milano.

Già, Milano. Quella città che mi ha adottato, e da cui mi voglio emancipare. Il suo pensiero mi occupa la mente lungo l’ultimo sentiero e poi nel viaggio autostradale. Rifletto su ciò che cerco. Voglio intraprendere nuove esperienze: non solo nel weekend come fuga da una quotidianità troppo povera per soddisfare l’animo umano. La scelta è presa anche per me, come la guida qualche ora prima. Lui ha vinto la sfida, portando tutto il gruppo a casa felice, sano e salvo. Mi chiedo se vincerò la mia sfida…

Ma in fondo la parte migliore di ogni impresa è durante il confronto: se sapessimo da sempre il risultato finale, non ci giocheremmo davvero. Non ne varrebbe la pena. Invece una scelta è una scommessa da vivere fino in fondo, con la fiducia che nulla avviene per caso e ogni strada può portare a splendide cime, se si ha la tenacia di insistere e non gettare la spugna.

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