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Back from the Wild

29 Ott

La giacca in Gore-Tex era fradicia. Ogni vestito che indossavo, nonostante i materiali e le etichette, era umido o peggio, bagnato.

Camminavo da 11 ore con una sola breve pausa al freddo per mangiare una barretta. Il cielo era passato dal tiepido sole delle 9 alla neve delle 13 alla tempesta delle 17 alla nebbia gelida delle 20.

Ormai buio, ancora in salita dopo oltre 1500 m di dislivello, ancora dentro il Parc Naziunal Svizzer. Ma dovevo fare un ultimo passo, altrimenti il guardiaparco mi avrebbe multato. Inesorabile sentinella del selvaggio.

Me l’ero cercata, non potevo lamentarmi. Così ho montato la tenda al buio, già umida, appena due metri oltre il confine del parco. Terra libera che neanche mi gustavo. Pregavo invece che nello zaino qualcosa fosse rimasto asciutto.

In tenda, imbottito con tutto quello che avevo (e non era molto), con un po’ di pane e di cioccolato sotto i denti, non mi sembrava di essere a 2300 m. Mi attendeva una notte agitata e tenebrosa. Pensieri di superiorità e di presunzione…

*

Bolzano, fine estate. Ero indeciso sul cosa fare delle ferie. Una settimana in barca era già in calendario – ma l’altra? Canonico tempo da passare fuori ufficio, anche se troppe idee rischiano di creare solo confusione ed ansia.

Allora mi ero deciso per un’impresa. Quando sono incerto, preferisco sfidarmi e cercare di concludere qualcosa. Ma negli ultimi anni ho preso di mira soprattutto me stesso, senza darmi un limite preciso.

Non che abbia scalato l’Everest. Le vere imprese le lascio ad altri. Nel mio piccolo, però, volevo realizzare una vera spedizione alpina. Per me, quella definitiva.

Avevo camminato Alte Vie e piccole scorciatoie, dormito in rifugi ed in tenda, passeggiato in compagnia e scalato in solitaria. Cosa potevo fare per mettere insieme tutto questo? Cercavo un punto zero, un’esperienza che fosse una partenza nuova.

La settimana era la scusa giusta. Mi sono immaginato un cammino est-ovest dalla Val Venosta al cuore dei Grigioni, pienamente outdoor. Sei giorni di tappe forzate, decine di km, montagna vera e non valle, tenda, fornello, zaino grande, filtro per l’acqua, alimenti per ogni pasto, indumenti e attrezzature per qualsiasi condizione.

Da Mals in Venosta a Vals nei Grigioni. Dalla mia nuova terra ad uno dei gioielli proibiti delle Alpi. Dal presente al passato e quindi al futuro. Mi sono visto correre pericoli e sopportare grandi sforzi, poi arrivare alla meta e godermi le terme, la camera, la colazione ed il riposo.

Mi sono visto di spalle che partivo, superavo la mia sfida, godevo la ricompensa, scendevo la montagna diverso e cambiato. Eppure avevo una certa angoscia, prima di partire, che non sapevo spiegarmi, ma che non riuscivo a scacciare.

Un sabato mattina infine, sei giorni prima del mio ventisettesimo compleanno, sono partito davvero. Zaino in spalla, la strada sotto i piedi. Ed in effetti, è come se non fossi più tornato…

* *

Non mi sono mai svegliato con la tenda ghiacciata. Ma quel primo mattino, dopo un solo giorno di cammino assurdo e privo di senso, la nebbia ed il gelo mi hanno fatto capire dove ero finito: nel vuoto.

Avevo cercato solo la mia realizzazione personale. Non esisteva la natura e gli altri uomini – solo io ed il mio ego. Soddisfarlo superando i miei limiti, piegando ogni cosa al mio volere: questo il fuoco che mi aveva spinto all’avventura.

Durante la notte, preso dall’adrenalina e dallo sforzo, mi immaginavo eroe dei monti, avventuriero senza confini. In quei momenti, crediamo di potere ogni cosa che vogliamo. Forse è una difesa della mente, per non lasciarsi andare allo sconforto.

Il vuoto del mattino mi ha risvegliato. Uno shock semplice e diretto, su una mente ancora incapace di ragionare. Ma il cuore la precede: già sente tutto e batte un ritmo diverso.

Colazione a 2600 m con i primi raggi di sole. Ancora umido e freddo, la tenda un disastro, le gambe che ormai fanno male. Ma i pensieri volano altrove, come una valanga d’incontenibile energia.

Avevo tolto ogni cosa intorno a me, credendo di realizzarmi. Invece mi ero quasi annullato. Un’esperienza distruttiva ma istruttiva. Con presunzione ed ambizione inutile avevo ignorato la natura intorno a me, evitato l’incontro con gli altri – restando solo e vuoto come una candela morente in una stanza deserta.

Invece la luce può sempre risplendere, riaccendendo il fuoco della passione. Che è ricerca del bello, del giusto, del buono. Il bello dei panorami e delle foreste, dell’acqua lucente che solca la terra. Il giusto del cammino e delle pause, dello sforzo fisico e del godimento di ogni momento. Il buono del cammino condiviso, in solitaria come in compagnia, aprendo lo spirito a tutto ciò che si incontra sulla strada.

Ho abbandonato allora il progetto dell’impresa. Ho imparato che la vera sfida è cercare la realizzazione giorno dopo giorno in ogni cosa che si fa – senza ipocrisie, facendo del proprio meglio. Ho camminato ancora per due giorni, ho goduto la fortuna di poter vivere la natura in assoluta libertà. Mi sono dissetato alla fonte della montagna con tutti i sensi, fuori dal tempo e senza alcuna preoccupazione.

Sono ritornato a Bolzano con le gambe doloranti ma il cuore e la mente ricchi come mai prima. In fondo, i dolori sono una giusta punizione per la mia stupida presunzione. La ricchezza che ho imparato a riconoscere, invece, non ha prezzo.

* * *

Il punto zero. Questo cammino è il primo inaspettato passo verso nuove direzioni. E tutto perché ho saputo liberarmi di alcuni fantasmi, seppur con fatica e dolore.

Il fantasma di dimostrare a me stesso che sono più di quello che sono. Falso: non sono un santo o un eroe. Ma non devo, e non voglio, esserlo. Solo con limiti c’è vera libertà e con imperfezioni vita pienamente vissuta.

Il fantasma dei falsi valori che ogni giorno consumiamo in mille forme. Quale valore ha una nuova giacca, se poi mi fa da guscio totale verso l’esterno? La giusta attrezzatura è quella che permette di con-vivere con il mondo esterno nel migliore dei modi. Colori, stili, mode sono optional – non devono definire la strada, solo arricchirla.

Il fantasma della solitudine, come un vizio che non vogliamo toglierci. E che ha un fratello gemello nella ricerca incondizionata di compagnia. In questo tira e molla, scordiamo il valore delle relazioni con noi stessi e con gli altri. Affrontare i propri limiti insegna a conoscere sé stessi – un primo essenziale passo per incontrare gli altri.

Fuggire alimenta solo l’ansia di sentirsi vuoti e confusi. Aprirsi al confronto è facile solo sulla carta, ma è la via da percorrere. La strada non può essere solo definita sulla carta e neppure solo improvvisata al momento. Ci vuole una direzione e ci vuole l’interesse. Senso e passione.

Sulla strada ci aspettano momenti belli e momenti difficili. Entrambi indispensabili l’uno all’altro. Se non avessi faticato e sofferto quel sabato, non avrei goduto pienamente la domenica. Se non avessi resistito agli impulsi negativi della prima solitudine, non scriverei ora queste righe e non penserei già alla prossima colazione in compagnia.

E’ la sfida di ogni giorno, e voglio giocarmela tutta. Non gettare la spugna, proprio quando il gioco si fa più duro. Perché sembra sempre più duro che mai… finché non ci si accorge che tutti condividono lo stesso cammino: la strada è tanta, ma già molta è dietro le spalle.

Il senso stesso del cammino sta nell’andare: godere la vita per come è e non per come potrebbe essere.

Con questi sensi… (sguardi autunnali)

18 Nov

Mi chiedo sempre quale ruolo giochino i nostri sensi nelle esperienze che viviamo. Il mio sguardo non sarà mai lo stesso del tuo: i miei occhi vedono colori d’autunno lentamente cancellati da basse nuvole che avvolgono la terra. Ed un nuovo ambiente ancora tutto da esplorare.

Ma tu vedi forse altre immagini, vivi altre emozioni positive e negative. L’autunno è un magnifico contenitore per ogni sentimento, dal classico melancolico della nebbia umida, all’irriverente allegria di un cielo liberato dal vento freddo. E così ognuno può vivere la propria storia, in modo sempre originale e unico.

In queste sere ho voglia di fare la conserva con i frutti delle ultime settimane: mi immergo in lunghe riflessioni senza avere un obiettivo. Ed ecco qua la mia composta di impressioni…

* Bolzano vista dalla ripida strada sul fianco del Talvera, una conca produttiva chiusa fra filari secolari e frutteti carichi d’oro
* Il primo Törggelen nel piccolo maso sopra Chiusa, un Johannserhof con stube, cucina e gestori d’altri tempi
* Lentamente il pavimento della nuova camera si asciuga, pronta ad accogliermi mentre fuori il cielo è cupo e minaccioso
* Il mattino sereno e glaciale sul Corno del Renon, quando una rollade fatta in casa e la vista mozzafiato non hanno prezzo
* La vecchia lavatrice che rotola nel container, segnando il cambiamento nella vita semplice di un piccolo appartamento
* Entrare in ufficio tanto presto e uscirne così tardi da non sentire il tempo durante ed apprezzare le energie spese
* I miei occhi sulla D200 mentre viene ritirata, quelle due lenti immobili e fredde che mi rivolgono un ultimo sguardo di addio
* Quel tratto di strada che collega lavori e vite, ricordi e imprese, passato e novità, ma che resta sempre sé stessa
* Cogliere le mele più preziose e buone dal ramo vivo della pianta, pagarle anzi riceverle in dono e condividerle con gli altri
* Gustare una colazione fuori orario in solitudine, dove un tempo fiumi di parole avevano animato la propria esistenza
* Trovare i negozi chiusi, scovare nuovi prodotti e cacciare senza tregua i migliori pani della regione
* Il lungo Talvera ed il lungo Isarco con la nuova MTB, imbottito nella nuova giacca, verso il nuovo lavoro
* Provare pessime castagne in piazza, sorseggiare scarsi drink in bar deserti, ritrovarsi a casa per quattro belle chiacchiere
* Il film sui folli sportivi, dove le immagini meravigliose non dovrebbero giustificare tutto, ed il docufilm dove nulla è scusato
* Provare a seguire la prof austriaca mentre cerca di aiutarti ad imparare una nuova lingua con la poesia di Goethe
* La piscina piena alle 7 meno un quarto del lunedì mattina e del venerdì mattina, come se qualcuno non lavorasse
* Le strette di mano dure, le strette di mano molli, le strette di mano viscide, le strette di mano distratte
* La città che sconfina nei vitigni, i vitigni che scollinano tra tornanti di strada e paesi, i paesi che celano café da passione
* Le canzoni di Matt Costa a creare la colonna sonora di giorni sempre diversi e stimolanti: the hypochondriac blues
* La pasta a sei mani, con una dozzina di ingredienti, i primi del mese per celebrare una nuova convivenza
* Gli occhi, di ogni colore e profondità, che ancora si vorrebbe evitare pur di non vederci riflesso il proprio animo
* Ciò che è giusto e ciò che era inevitabile; e tutta la fatica, ma anche la bellezza, che ci mettiamo nel capirlo ed accettarlo
* Le connessioni che saltano regalandoci una pausa pranzo senza paragoni, tanto improvvisata quanto gustosa
* La voce bassa, imprevedibile e grintosa che intona le canzoni dei Wilco da un piccolo palco in legno nel cuore di Milano
* La ciambellona ed il caffé americano sul muretto del metrò, prima di salutarsi dopo un grande weekend di festa
* Passare ore a sistemare la propria dimora, prima di coricarsi e non riuscire a dormire per i tanti pensieri in testa
* L’ape di mattina, l’ape di pomeriggio, l’ape di sera: tanti amici da rivedere, sperando di avere tempo e cuore per ognuno
* I mille progetti e la voglia di fare che muovono la ruota del mulino – con la certezza che già ora è una bella avventura
* Il libro che finisce e lascia la voglia di continuare a sapere, vale tutti i libri letti controvoglia che si dimenticano subito
* Accorgersi che la canzone lentamente si spegne, riprenderla fischiettando, e tenere il fiato sull’ultima nota…

E’ un segno. Il barattolo è pieno e speriamo che duri almeno qualche tempo: l’inverno è lungo e ancora deve iniziare. Sicuramente avrò energia nella riserva per tenermi in carica. Pronto a riprendere la strada, secondo il mio costume, come recita il nome del blog.

Pronti come Biröl

1 Ott

Cambiano le stagioni, almeno quanto cambiano le persone.

Arriva l’autunno e sono tornato a raccogliere castagne il mattino presto, nella silenziosa umidità del bosco. Quella che impregna ogni cosa, che incomincia a farti entrare il fresco, e poi il freddo, dentro fino alle ossa.

Ma poi il raccolto cuoce lento sulla fiamma viva del fuoco, appeso per un filo in una padella vecchia almeno quanto me.

Le caldarroste nella mia terra si chiamano Biröl: per me hanno il sapore delle serate d’autunno da bambino con mio padre, ineguagliabile mastro di castagne.

Il loro aroma dolciastro segna sempre il cambio di stagione, ma anche il mio compleanno e l’inizio di qualcosa sempre nuovo: un corso di laurea, un gap year, un film al liceo. O semplicemente una nuova avventura dai confini ancora aperti.

Quella che mi si presenta davanti è una sfida, un’occasione per esperienze inedite e una prova per le mie capacità: saprò guidare da me la mia canoa? Lascio una città ed un lavoro, un contesto in cui sono cresciuto, nel bene e nel male, per tanti anni. Troverò un ambiente diverso nella forma e nella sostanza.

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”, mi ricordano le persone più care. Mentre suona il richiamo di un’alba fresca e promettente.

Così saluto: tra una citazione ed una foto, al mio modo. Ci ritroveremo sul sentiero, che resta sempre quello.