Archivio | ottobre, 2009

Odles und Alm

17 Ott

Ovvero, come ritornai in Alto Adige con passo lento e deciso

Al terzo piano c’è un parcheggio che ricopre quasi tutto l’enorme edificio. Appoggiato al muretto del lato ovest, ho respirato l’aria della zona industriale e osservato l’altopiano del Renon fino a quando le luci del giorno sono svanite.

Si è così consumato, senza botti né compagnia, il mio ritorno in Alto Adige.

Bolzano poggia in una conca al confluire di tre fiumi: Isarco, Talvera e Adige; sorge in posizione soleggiata, relativamente a bassa quota. E’ una città calda d’estate e fredda d’inverno, industriale e ricca ma anche popolare e tradizionale, divisa e purtroppo contesa tra italiani madrelingua italiana e italiani madrelingua tedesca. Un luogo d’unione e di confine, che la natura e la storia ha reso importante e trafficato.

Trovare casa, comprare l’essenziale, pulire un poco e sistemarmi, iscrivermi al corso di lingua, iniziare un nuovo lavoro. Esplorare, scoprire, capire, imparare. C’è abbastanza materiale per un grande pasto, col rischio di abbuffarsi e rimettere. Ma anche con l’entusiasmo per le tante novità; che sono anche dei ritorni. Ogni luogo, come ogni persona, cambia spesso volto, ma conserva una propria essenza che è possibile ritrovare. Sempre.

L’Alto Adige non mi è certo sconosciuto e l’ho cercato tante volte prima d’ora, sia sul piano materiale che sul piano umano. Suggestione indotta dal turismo, forte amore per la montagna, ammirazione per il lavoro dei locali, ricerca di mete sempre più alte. Mi sento un po’ come quei bravi ragazzi inglesi di metà Ottocento che cercavano la Svizzera col mito delle altezze paradisiache, del buon alpigiano, dello spirito assoluto.

Un pugno di signorotti inglesi che hanno scalato tutte le cime dell’arco alpino, nonostante fossero coscienti d’inseguire un immaginario alpino inesistente nei fatti. Anche io me ne rendo conto, ma oggi è più facile: 150 anni di massificazione e industrializzazione lasciano il segno, pur non cancellando le vecchie tracce.

Sono venuto per lavorare, per realizzare progetti, per condurre da me la mia canoa. Sono aperto a tutto ciò che incontrerò strada facendo, soprattutto gli insegnamenti che ogni nuovo cammino porta con sé. Le difficoltà non mancano mai, soprattutto nelle cose per le quali vale la pena vivere. Se avevo timori, erano quelli di finire lentamente confinato in una vita cittadina fatta di aperitivi, nervosismo e magre consolazioni.

L’avvicinamento all’Alto Adige è stato un sentiero lungo e complesso, ricco di emozioni positive e anche negative. Ho capito che ogni cosa bella, ogni traguardo, non si può ottenere subito, su due piedi. Ci vogliono molti passi e molti sforzi, ma è l’unica strada da percorrere. E nel mezzo le sorprese non mancano mai. Mesi in cui mi sono rafforzato, lavorando sulle tante debolezze, cercando di migliorare le soluzioni ai problemi di sempre; e giocando d’equilibrio sui valori che sento, pochi ma essenziali e sempre più convinti.

Non potevo certo farmi mancare una camminata per celebrare, quindi imprimere nel cuore e nella mente, il nuovo corso che ho intrapreso. E mi sono concesso anche il bis, cambiando formula per salutare il definitivo ritorno della MTB nella mia vita. Un bel giro ad anello intorno alle Odles il cammino, un percorso sali e scendi sugli alpeggi dello Sciliar il giro in bici.

Ogni trekking sulle favolose cime dolomitiche offre un genuino incontro con la natura, tanto da lasciare inebriati, e assieme un perfetto esempio di come questa sia considerata una mera merce da vendere e rivendere senza sosta. Ma nonostante tutta le sciocchezza di cui siamo capaci come genere umano, le rocce con gli alpeggi e le foreste, così come alcuni esempi di vera economia alpina contemporanea, resistono e restano le protagoniste.

La MTB offre la possibilità di coprire lunghi percorsi, ma non tanto frettolosi da lasciarci indifferenti. Arrivare a Tires e poi sotto lo Sciliar con i propri piedi è una bella fatica, goduta nella fredda ma soleggiata mattina autunnale. Inoltre, con i sensi allenati e attenti è possibile districarsi fra fasulli masi e veri alpeggi, fino alle malghe dove addentare mele fresche e soddisfare ogni appetito con vero speck e una manciata di caldarroste.

Eccomi qui, senza “connessione” col mondo lontano dove sono cresciuto, ritrovando proprio quelle cose che della mia terra amo di più. E’ strano e curioso sentirsi a casa mentre si è lontani da questa, vivendo in un lager senza tante comodità date ormai per scontate.

Ma riflettendoci bene ho tutto quello che mi serve, in abbondanza: dipende solo dalla prospettiva, e dalla passione con cui si vive.

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Pronti come Biröl

1 Ott

Cambiano le stagioni, almeno quanto cambiano le persone.

Arriva l’autunno e sono tornato a raccogliere castagne il mattino presto, nella silenziosa umidità del bosco. Quella che impregna ogni cosa, che incomincia a farti entrare il fresco, e poi il freddo, dentro fino alle ossa.

Ma poi il raccolto cuoce lento sulla fiamma viva del fuoco, appeso per un filo in una padella vecchia almeno quanto me.

Le caldarroste nella mia terra si chiamano Biröl: per me hanno il sapore delle serate d’autunno da bambino con mio padre, ineguagliabile mastro di castagne.

Il loro aroma dolciastro segna sempre il cambio di stagione, ma anche il mio compleanno e l’inizio di qualcosa sempre nuovo: un corso di laurea, un gap year, un film al liceo. O semplicemente una nuova avventura dai confini ancora aperti.

Quella che mi si presenta davanti è una sfida, un’occasione per esperienze inedite e una prova per le mie capacità: saprò guidare da me la mia canoa? Lascio una città ed un lavoro, un contesto in cui sono cresciuto, nel bene e nel male, per tanti anni. Troverò un ambiente diverso nella forma e nella sostanza.

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”, mi ricordano le persone più care. Mentre suona il richiamo di un’alba fresca e promettente.

Così saluto: tra una citazione ed una foto, al mio modo. Ci ritroveremo sul sentiero, che resta sempre quello.