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..ritornando..

3 Set

Sono partenze. E sono ritorni. Perché non sono le prime volte…

E non saranno le ultime, mi auguro ;-)

Dopo aver visto partire tutti, con una certa invidia; e dopo aver visto ritornare tutti – ora tocca anche a me: godere le ferie, come mi piace dire.

Sono contento di partire fuori stagione, almeno quella più hot per noi italiani. A Luglio ed Agosto si lavora bene, con ritmi dilatati e tante occasioni per evadere dal quotidiano impegnato. E viaggiando prima o dopo, si trova meno caos e migliori occasioni, spesso.

Adoro settembre con la sua coda d’Estate, che mescola in modo imprevisto caldo e freddo, pioggia e sole, vento e quiete. Ho il lusso di poter scegliere quando partire e già questo giro non mi sono lasciato sfuggire l’occasione…

Quindi si parte. Ma per dove? Tanti dubbi sulle destinazioni, meno sul modo: mettermi in moto, esplorare, giocarmi, incontrare. Zaino in spalla per mare e per monti, coi sensi bene all’erta :-)

Poi sono venute le destinazioni. Che, un po’ per caso e un po’ per volontà, uniscono acqua e terra in modi diversi ma in sintonia tra loro. Perché è vero che sono più uomo di montagna: eppure ci sono tante spiagge di cui non ho mai fatto esperienza!

Una settimana in barca, allora. Per trovare, anzi ritrovare il mare col suo ambiente naturale ed umano. Un paesaggio che poco conosco e tanto mi incuriosisce. Lasciarsi conquistare dal Capitano e ora lasciarsi andare e accogliere tutto quello che verrà…

E una settimana camminando per monti. Prima che l’inverno stenda il suo velo, al crepuscolo delle terre alte. In solitaria attraversando un ambiente popolato ma ritirato, viaggiando attraverso i luoghi ed il tempo con zaino e tenda…

Che ne sarà del blog per questo Settembre? Proprio non lo so! Ma credo che ormai siamo abituati a questi post che arrivano quando vogliono, possono, devono. Ora che sono senza internet, senza macchina per le foto, senza macchina per spostarmi, senza i comfort di casa… ho proprio voglia di staccare un po’ le connessioni!

Una cura dimagrante per essere più fit domani :-D

Mi auguro allora di ri-tornare al mare ed in montagna per ri-portare su queste pagine il bagaglio di quello che raccoglierò…

Ora buone ferie a tutti. A chi le ricorda e a chi le sogna!

NorthForth/4 . Fiandre

21 Lug

L’assoluta immobilità della congestione stradale intorno alle città, presagio di un incredibile traffico umano… Oppure la placida campagna tra città medioevali e centri artistici, allegramente colorata da animali e fattorie…

Due immagini a contrasto inviateci dall’unico canale disponibile in auto: tra parabrezza e tettuccio è possibile cogliere scene di vita in movimento senza sosta! Bici che sfrecciano ovunque. Lunghe file ordinate di alberi ad entrambi i lati. Tante, tantissime vacche che presidiano il territorio. Terra verde che lentamente scende per immergersi asciutta sotto il livello del mare. Strisce bianche a disegnare percorsi precisi sul porfido delle città. Sensi unici per nulla rari. Canali mai dritti e gente spanzata al sole, e patatine fritte con le salse, e bancomat introvabili nella patria del capitalismo…

Ecco le Fiandre. Un minestrone molto speziato con ingredienti di stagione. Dopo aver accolto le birre di Westvleteren ci siamo immersi nelle terre basse, ovvero il nord del Belgio, senza farci mancare né campagna né città. Una toccata a Brugge (Bruges) in campeggio, una sveltina a Gent (Gand o Ghent) ed una sbirciata ad Antwerpen (Anversa, o Antwerp): tre punti fermi, in continua evoluzione. Poco oltre l’Olanda, con la sua grande città di canali e cicli ad aspettarci!

* Brugge ricorda Venezia non tanto per l’acqua, quanto per il fatto che sembra un giocattolo commerciale a disposizione di qualsiasi turista. Che altro non cerca, probabilmente…. Ristorantini, piazzette, palazzi curati, prezzi alti e qualità difficile: il pacchetto perfetto della moderna giostra turistica. E quindi, anche per noi, imprendibile :-) Ma proviamo ad essere furbi e ci rifugiamo in un piccolo e fresco campeggio oltre le mura esterne. Lasciamo sfogare il tempo con le ultime piogge e gironzoliamo per vie praticamente deserte. Il fuggifuggi del turista diventa il nostro grande momento di libertà, padroni per una sera del borgo e di tutto quello che cela! Piccolo banchetto al piano superiore di un localino per nulla locale, tra tapas curiose e vini stranieri – facciamo i diversi ma la pausa viene naturale, dopo e prima di tanta altra belgitudine.

La notte di sonno tranquillo spegne ogni mal di viaggio, così mi concedo una corsa nel sole che lentamente, fra vapori trasparenti e strade umide, svela una Brugge sconosciuta. Pani in cassetta e mercatini di frutta/verdura, lavoratori in bici con giornale sul portapacchi, gente in attesa del ponte levatoio sotto la torre di cinta, ristoratori che bevono il primo ed unico caffè in pace di tutta la giornata, ancora capaci di un sorriso rilassato. Non poteva che risultarne una colazione improvvisata fuori dalla tenda, anche per festeggiare il battesimo outdoor di Anto ;-) Pacchi incastrati e auto rimessa in pista, ci godiamo poi la campagna senza nessuna fretta!

* Gent sembra un fuori programma – e lo diventa nei fatti: bella, come l’incontro improvviso con una donna che avevamo aspettato tanto a lungo. Esce il sole, l’atmosfera si scalda, il borgo pulsa di vita e tutto sprigiona allegria. Negozi, canali, locali, cattedrali e cantieri… un carico di scene curiose e piacevolissime. Scopro un Duomo notevole, mistico ed artistico, con una cripta che affonda nella storia d’Europa. Scopriamo che le vie migliori, senza lavori di ammodernamento e piacevoli anche solo da guardare, sono quelle d’acqua, dove cittadini e stranieri si dissetano d’estate ad occhi chiusi. Gustiamo un cartoccio di frites in piazza, una gauffre a regola d’arte in un fumoso bar che puzza d’antico, ed infine alcune caramelle stucchevoli come il sorriso che mostrano.

Abbandonare Gent per rimettersi in strada sembra un delitto. Ma un’altra località ci attrae –  o almeno ha catturato il sottoscritto, già anni fa: Antwerpen, per me città della storia economica, del capitalismo e del commercio, del porto sconfinato e delle culture rimescolate ogni istante. E come spesso accade dopo una lunga attesa, è facile rimanere un po’ delusi. Inizia tutto con il primo traffico, le code e l’immobilismo che tanto contrastano con il piacere dei momenti all’aperto in piena libertà. Ma conquistiamo anche la vecchia tigre, buttando il bagaglio in ostello ed infilandoci in centro, affamati e curiosi come non mai!

* Antwerpen sembra avere tutto – e rischia di dire poco. Moda stiracchiata, vecchi commerci, antico splendore che fatica a riflettersi sull’oggi. Le sponde del grande porto ingialliscono nella luce crepuscolare che avvolge la città. Lo spirito del posto si materializza in un lunghissimo tunnel sotterraneo, che non porta praticamente da nessuna parte: affascinante come ogni cosa che decade ed accende emozioni dimenticate. Sembriamo ora quattro sbandati senza punti di riferimento, senza mete per la cena o destinazioni per lo shopping, e indirizzi per le visite. Una serata ed una mattina passati a vagare nei momenti speciali che solo l’assenza di piani preconfezionati può donare.

Resta così un po’ il vuoto di una città immateriale, effimera, giocata su ricordi luccicanti ed illusioni mondane. Il ritmo allora rallenta, il passo è sempre meno carico di aspettative e ci si lascia cogliere dalle idee più semplici – spesso anche le migliori! Seduti ad un tavolino, birre belghe a ruota libera, pane e companatico improvvisati, aria trasparente ad accompagnare i nostri non/pensieri. Momenti di vuoto puro, di cervello in stand-by che attende, pronto ad accogliere. Tutti presenti, eppure completamente assenti: il bianco della pagina nuova in una storia ancora da scrivere. Solo Antwerpen poteva riuscirci :-)

Questo piccolo, inatteso momento di verità in compagnia dura il tempo di una birra (o più birre ;-): affatto infinito, semplicemente umano. Incominciamo ad intravedere l’Olanda oltre il vicino confine ed i pensieri si riaccendono… sono sirene che cantano e noi non abbiamo la forza di resistere. Antwerpen svanisce così dal nostro viaggio, uscendo di scena con nuove code, traffico e noia: ogni vera storia ha il suo intreccio – dopo un momento di svolta, arriva regolare la caduta.

Che prepara al successivo climax…

La Compagnia del Devero

31 Lug

Ci sono situazioni in cui tutto sembra sotto controllo; altre in cui ogni elemento si compone in modo autonomo e imprevisto, inseguendo una logica precisa quasi vivesse di un proprio spirito. E ci sono luoghi che troppo spesso non sanno più stupirci, forse perché sterili (loro) e annoiati (noi); ma ci sono ancora scorci e viste che infiammano il cuore e trasportano in altre dimensioni.

La storia che racconto inizia da una grande curiosità e dalla voglia di passare una notte in tenda. Curiosità per quella remota regione del Piemonte che prende il nome di Alto Ossolano, per quei parchi naturali dai nomi leggendari: Alpe Veglia, Alpe Devero e Val Formazza. Voglia poi di sdraiarsi in tenda con il cielo stellato per soffitto in luoghi che solo i più temerari raggiungono, nella serena glacialità degli alti prati incontaminati.

I preparativi sono un calderone di progetti modificati, compagni che si aggiungono all’ultimo, improbabili tentativi di voler fare tutto in zero tempo: come da copione. Poi si parte e si cerca di riguadagnare la giusta serenità. Il viaggio non è lungo e nel tardo pomeriggio riusciamo a mettere gli scarponi sul sentiero. Località definitiva l’Alpe Devero, con percorso da decidere al momento.

Siamo alla fine in sei: mio fratello Andrea, Raffaele, Paolo, Marco e Silvia. Non conosco metà del gruppo e dovremo adattarci alle esigenze della compagnia quanto a tempi e scelte di sentiero. Questa per me è una condizione scontata quando si cammina assieme ad altre persone: non è necessario procedere tutti ammassati, ma la direzione e lo spirito deve essere comune, condiviso.

Saliamo ripidamente evitando la strada asfaltata ed i centri abitati. La natura ci appare immediatamente intensa e ancora selvaggia, lasciando preludere agli alpeggi che attraverseremo poco più in alto. Passiamo alcune stalle e sorprendiamo le vacche dell’alpe Sangiatto mentre si radunano chiamate dai pastori. So bene quale latte dorato producano in appena due mesi questi animali: una volta cagliato intero crudo e cotto brevemente, viene raccolto in forme di media pezzatura e lasciato riposare almeno 60 giorni. Ne esce il Bettelmatt, formaggio raro e unico, prodotto solo da pochi alpeggi.

Pregusto la possibilità di assaggiarlo il giorno successivo all’agriturismo prenotato, dove il proprietario del Sangiatto si offre nelle vesti di ristoratore. Ho deciso che questa camminata deve essere più godereccia e meno impegnativa rispetto alle ultime “imprese”. Lo Stelvio produce i suoi effetti. I passi faticosi, il freddo pungente già alle 20, l’incertezza del non avere un caldo riparo per due giorni, devono avere un senso. Vogliamo divertirci, star bene insieme, godere la natura più vera: tre piccole cose che valgono ben qualche sforzo!

Ci alziamo sopra i 2000m e percorriamo i prati degli alpeggi attorno al Lago di Devero. Sono ripiani di un verde intenso, battuti dal vento da nord e interrotti qua e la da un larice e qualche roccetta, mentre alcuni laghetti di montagna riflettono le cime bianche di fresca neve e le nuvole ornano il lento tramonto. Attraversiamo vaste brughiere di rododendri in fiore dal profumo deciso, cascate di mirtilli ancora senza frutto e campi ricchi degli svariati colori della flora alpina.

Un giorno dovrò imparare a riconoscere i fiori e tutte le piante: soffro questa lacuna che toglie la parola all’emozione di questi incanti. La luce della sera corona ogni cosa di un’aureola dorata e trasforma definitivamente il cammino in un’idilliaca ascensione verso il ripiano dove decidiamo di bivaccare. La contingenza ci riporta alla realtà dei nostri corpi infreddoliti e affamati: c’è giusto il tempo di mangiare e poi dritti in tenda alla disperata ricerca di calore.

La notte intanto si accende di un firmamento senza paragoni. Solo la camminata al Lai da Rims può accostarsi all’intensità di questo momento, con la testa fuori dalla tenda… mi sento trascinato in un’altra dimensione, che non sembra neppure umana, o terrena. Percepisco la grandezza del mondo in cui viviamo, l’unicità della vita che percorriamo. Il tempo e lo spazio svaniscono e per qualche attimo non ho altri sentimenti dentro di me che pace e serenità, calma e quiete. Meglio di un sogno giocato sui propri desideri.

Cerco la mattina tutta notte. La trovo all’alba e mi vesto per percorrerla fino alla cima dei dossi alle spalle delle tende. Una scarsa luce penetra nuvole nere e irradia i monti in lontananza, adombrando nel buio i campi sotto i miei passi. Fanno capolino solo fiori gialli, quelli che io credo siano Mottolina, l’erba fondamentale per il latte d’oro delle vacche locali. Intanto riescono già a rendere ogni cosa dorata e senza dubbio sono un regalo bellissimo per l’uomo che s’inginocchia fra loro meditando qualche minuto.

Scendo lentamente, gustando ogni fruscio d’erba e ogni cambio di luce, per raggiungere le tende ancora immerse nel sonno. Ma la compagnia deve alzarsi, se vuole combinare qualcosa in questa domenica benedetta da ogni elemento del cielo e della terra. Mangiamo con allegria tutto quello che rimane nei nostri zaini, condividendo pane, dolci, miele, tè, cioccolato. Rassettiamo le nostre cose e ci curiamo di lasciare il posto meglio di come lo abbiamo trovato.

Riprendiamo la salita per un breve strappo di 100m e percorriamo un altopiano da poco risvegliatosi dal gelo invernale. Siamo a metà Luglio e ancora attraversiamo chiazze di neve: gli alpeggi più alti sono ancora vuoti, la transumanza è in ritardo. Chissà se questo produrrà formaggi migliori o peggiori: non conosco i segreti di questa arte antica, fatta di sacrifici e rinunce quando condotta con metodi tradizionali.

L’alpe Forno rappresenta per il nostro cammino il giro di boa: da questo punto parte la discesa verso il Lago di Devero e Crampiolo. Il paesaggio cambia rapidamente, puntellandosi nuovamente di larici dagli aghi piccoli e verde chiaro, segno di una primavera senza fine. Il vento spazza e infreddolisce ma il sole si fa prepotente e sulle sponde del lago ci troviamo in un clima caldo e umido, più accogliente. Ma anche più trafficato: sono numerosissimi i turisti a passeggio che se ne infischiano dei falsi cartelli di pericolo lungo il sentiero e spendono la domenica fra le montagne ossolane.

La nostra compagnia intanto ha intessuto vari discorsi che toccano i temi del lavoro e della vita. Si parla di sport, di alimentazione, di italianità e di passioni personali. Alcune ore d’intensa vicinanza favoriscono le relazioni umane, anche se non sono spesso sufficienti per creare solidi legami. Prendo parte ogni tanto al chiacchiericcio ma mi godo anche dei tratti di strada in pieno silenzio, cercando la compagnia di me stesso. Conoscere gli altri richiede tempo e dedizione, allegria e sincerità; ma conoscere sé stessi è ancora meno agevole: ci vuole coraggio e voglia di scavare in profondità.

La compagnia ha bisogno naturalmente di qualcuno che la conduca, e come spesso succede in cammino con il sottoscritto, non c’è bisogno di un’elezione democratica per assegnare il ruolo. Accompagno con lo sguardo la diga del Devero e senza perdere tempo punto sull’agriturismo di Crampiolo: sono le 14 e siamo pronti per degustare le specialità locali, essendocele sudate e meritate. Ma non abbiamo considerato il fatto che questa volta non siamo noi a decidere le regole del gioco.

L’agriturismo si presenta meravigliosamente ma delude. Tanti i turisti in questa frazione di Devero, attirati dalla bellezza del luogo e dalla facile passeggiata adatta a qualsiasi piede e qualunque testa. Impressionante la ressa attorno ai bar ed alle locande, con i proprietari che mettono da parte qualità e sensatezza, cercando di accomodare quante più persone possibile. Ne viene fuori un servizio frettoloso e affaticato, piatti tutti uguali e senza carattere, nessuna tipicità.

Che peccato quel gioco ridicolo sul formaggio, che corona un’esperienza un po’ amara ma molto istruttiva: il Bettelmatt è finito, ma nel misto di formaggi possiamo averne due fettine, sulle quali azzuffarci per averne un assaggio. A cosa è servito attraversare l’alpeggio, informarsi sul prodotto e intrattenersi con il proprietario alla ricerca dell’eccellenza di questi luoghi? Essere trattati come i motociclisti che rombano fino al posteggio e riempiono la pancia in modo meccanico, non mi piace tanto.

Ci avvisano che per provare i piatti veri è necessario venire di sera: per cena tutto è diverso! Ecco l’italianità, questo carattere che amo e odio. Esco e mi avvio per fare due passi conclusivi, di nuovo su al lago, immerso nei pensieri. Rifletto sul fatto che lassù, fra pascoli così belli da mettere in dubbio il primato delle Dolomiti (almeno nel mio cuore), non incontravamo nessuno né di sera né di giorno, nonostante il sentiero agevole e breve. Invece quaggiù si accalcano e si ammassano persone di ogni genere, dallo sportivo invasato al cittadino in trasferta domenicale.

Tutti a cercare lo stesso luogo, tutti vogliosi di ritrovarsi assieme e mescolarsi nella folla. E’ un circolo vizioso che si autoalimenta da anni: particolari località stracolme di turisti (un eccesso che rovina e guasta il contesto alpino), immerse in una moltitudine di luoghi dimenticati e abbandonati, sviliti perché nessuno li valorizza. Penso invece alle tante montagne senza particolari amenità che, in Alto Adige ma anche in Austria e in Svizzera, godono di un turismo più diffuso, disperso su malghe, rifugi, ristori e luoghi interessanti che il camminatore cerca per la tranquillità che sanno ancora donare.

Ma forse è vero, come mi suggerisce Raffo, che l’italiano medio non cerca la pace tra i monti: anche qua cerca i suoi simili, ama i luoghi dove stare in compagnia e poter curiosare gli altri esseri suoi simili. Io non mi sento di questo spirito, forse sono più nordico: guardo ora la nostra Compagnia con occhi diversi, mentre si raccoglie ed affronta gli ultimi km di sentiero verso le auto. Un gruppetto con tutte le diversità e le peculiarità delle persone, con i compromessi e le rinunce necessarie, ma anche con le gioie e l’allegria di tanti momenti. Un piccolo laboratorio dove sperimentare una condivisione diversa. Una via di mezzo fra l’isolamento sterile e l’affollamento sciocco, un prototipo di convivenza fra persone?

La Compagnia del Devero si scioglie davanti alle auto. Ognuno deve prendere la propria strada verso casa e ci aspettano ancora momenti di fatica, incolonnati lungo le strade maestre del turismo montano. Un prezzo che si deve pagare per aver goduto di esperienze così intense, ma anche il frutto di abitudini di vita e di lavoro troppo uguali per tutti: stessi orari, stessi posti, stesso atteggiamento… creano congestione da una parte e vuoto dall’altro. Ma a noi in fondo piace così: genio e sregolatezza siamo, mica rigore e logica.

Questo insegnamento e la certezza di essere sulla strada giusta, diversa e personale, è il raccolto che porto a casa dalle 24 ore spese con la Compagnia. Che spero di ritrovare ancora sul mio cammino!

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