Rifugio Sella – 8 Agosto
Un paio di cd rubati al volo per intrattenere lungo la strada. Non sono proprio quello che si direbbe un sottofondo adatto alla situazione, ma ci portano sani e salvi fino ad Aosta. Pausa, poi mio padre ci raccoglie e ci porta fino a Cogne. Pausa ancora e il sentiero è li davanti a noi: fresco, libero, pronto per essere conquistato.
Il viaggio in auto era troppo affollato di Girolimetto, il clima come sempre agitato. E’ una facciata, certo, ma non vedi l’ora di arrivare a destinazione e metterti in cammino. Un cielo così sereno da scompaginare tutti i pregiudizi della stagione: non c’è ombra di nuvola, solo un impietoso sole di mezza mattina.
Siamo in quattro con zaini e scarponi. Il fratello Andrea, l’amica Eliz che viene da Milano ma guarda lontano e Fra, la capo scout del passato tornata per monti. Un gruppetto misto e curioso, un po’ improvvisato. Una scommessa: forse la vinceremo… certamente ci sarà da divertirsi!
Si sale; qualche ora e circa mille metri di dislivello ci dividono dal rifugio Sella, prima tappa di un percorso di quattro giorni tra le cime e le vallate del Gran Paradiso. Un parco, un massiccio, una regione ritrovata dopo tanto tempo: ricordo da bambino che correvo sui prati ai piedi del Rutor, con i birbanti del CAI che la sera erano brilli e al mattino leoni. Nel cuore almeno.
Riscoprire la montagna e quindi la natura, rivivendo le emozioni di quando ero bambino. La meraviglia delle cime, la sintonia con rocce, prati e alberi legati da un equilibrio perfetto. Piccole cose, schegge di un mondo meraviglioso. Ma perché celarlo dentro, tenerlo solo per noi?
La salita è stupenda ma dura. Sudore, come una doccia al contrario: è la misura della fatica, ma anche della gioia. E presto arrivano le soddisfazioni: dalle ampie viste alle persone curiosissime che si incrociano su sentieri imprevisti.
Il gruppetto si studia, prende un po’ le misure, incomincia a tirar fuori gli assi. Mio fratello il suo carattere impulsivo e diretto; Eliz la sua vena artistica e originalissima; Fra la sua vita fra ricerche e indipendenza di lavoro, di relazioni, di sensi. Io mi sento un po’ in mezzo. Sento che anche stavolta mi spetterà il ruolo di conducente. Che ti porta a destinazione e con cui si scambiano due parole, ma forse senza stringere relazioni.
Il fratello s’inventa la spedizione in malga per il formaggio ed è subito pranzo. Poi il rifugio arriva presto: una spettacolare piana di verde dorato con piccoli edifici al centro, quella che si direbbe vera integrazione con l’ambiente. Posiamo tutto e ripartiamo per due laghetti alpini a pochi minuti di distanza. Il luogo giusto per ammirare e chiacchierare con gli altri e con sé stessi.
E’ la prima foto di gruppo. E’ la volpe sul sentiero. La prima serata che si avvicina, con la birretta dopo una doccia calda per alcuni e fredda gelida per altri. Le prime letture nell’aria frizzante. Sedendoci a cena, sappiamo di approcciarci a quello che è un vero rito nelle camminate in montagna, uno dei motivi per cui si resta a dormire in rifugio.
Il Sella è una classica struttura del CAI, una delle numerose che caratterizzano le Alpi italiane. Minestrone o pasta al pomodoro? Tacchino o salsiccia? Budino o torta? In pochi minuti si crea l’atmosfera giusta condita di battute, risate, piccole scenate e naturalmente qualche canto improvvisato.
La serata è anche il momento delle carte e degli amari. Qua in Gran Paradiso, sono rigorosamente Genepì e Grolla a farla da padroni, anche sul nostro tavolo. Bello iniziare la prima sera un po’ allegri e con lo spirito alto, nonostante la stanchezza che ereditiamo dalle quotidianità cittadine.
La sera si fa notte piena sopra i miei occhi mentre mi godo lo spettacolo delle stelle dondolandomi su una sedia di fortuna appena fuori dal bar del rifugio. Mi sento quasi inghiottito, risucchiato in un mondo che non è quello di tutti i giorni. Bellezza, armonia con quello che ti circonda. Come non condividere?
Mi addormento con qualche pagina di Krakauer. Sembra che il destino mi abbia messo davanti la storia di questo ragazzo, giovane laureato americano, alla ricerca del selvaggio. Il destino mi ha messo davanti il Wild. Non mi trovo nel continente americano, eppure se annuso bene mi sembra di percepirlo anche qua nel Gran Paradiso. Le notti milanesi sono capaci di tanti bei falò, ma non hanno il cielo che mi sta sopra in questo momento. E neppure quella scintilla di felicità che illumina di tanto in tanto l’oscurità.
Rifugio Chabod – 9 Agosto
La giornata che ci aspetta a davvero dura, la più dura dell’intero percorso. Non ho forse mai incluso una tappa così lunga e faticosa in una camminata da quando giro con lo zaino in spalla. Una vera sfida: oltre 1500 m. di dislivello solo in salita divisi in due colli che superano abbondantemente i 3000 m.; due discese scoscese e pietrose, di quelle che falciano le gambe; e una ferrata complicata dagli ingombranti zaini. Senza dimenticare il sole che picchia diretto e schietto, come solo a certe altitudini può fare.
Ma la prima mattina è baciata da una splendida alba, colori caldi intensi e profumo di caffelatte a risvegliare gli animi. Come spesso succede, si fissa un’ora di partenza che poi non si rispetta mai: esce un po’ di tensione che la salita fa digerire immediatamente assieme alla poderosa colazione.
Capiamo quale sarà il ritmo della giornata dopo i primi tornanti: sudore, fatica, soddisfazioni. Siamo accompagnati dalla luce che cambia di colore e d’intensità, da molti stambecchi e da rive di erba e sassi dai riflessi inediti. Lo spirito si allarga fino a superare il Col Lauson, oltre le cime del Gran Paradiso, dentro la vita che ci regala passioni, dolori e gioie.
Il colle, il primo 3000, lentamente arriva sotto i nostri piedi e lo festeggiamo degnamente: spuntino e foto d’occasione in un quadretto dall’orizzonte aperto per un cielo così blu e limpido da ricompensare per tutta la pioggia di questi mesi.
Si riparte, i tempi sono serrati ed in montagna non bisogna mai perdere la concentrazione. Ci infiliamo in una discesa lenta, fredda e monotona, che lascia spazio per le chiacchiere ed il caso. Il gruppetto sembra perdere a poco a poco le distanze sentendosi meno estraneo. Ma come sempre in cammino, la conferma non può che venire dalla salita: il secondo colle, una difficile e spigoloso 3000, sarà un banco di prova formidabile.
Prendiamo a risalire in un’interminabile serpentina sempre più ripida, che percorre il letto del fiume generato dall’antico ghiacciaio del Neyron, ormai ridotto ad una lingua bianca sporcata dai sassi che affiorano. Le difficoltà mettono alla prova le persone, che finiscono sempre per mostrare sé stesse: una bellissima varietà di caratteri e qualche complicazione gestibile con un po’ di impegno.
La ferrata arriva a coronazione di un sentiero progressivamente sempre più difficile e ci unisce tutti. Sono attimi di vera avventura, di nervi tesi, di essenzialità e verità. Infine il colle, la nostra Himalaya personale, è la conquista e la ricompensa più bella: merita una lunga sosta, la contemplazione delle cime, il pasto. Anche qualche lacrima.
Eppure dobbiamo proseguire, fermarsi non è possibile anche se camminiamo già da quasi 7 ore: il rifugio Chabod dista altre 2 o 3 ore di discesa in mezzo ai sassi. Una foto e via, senza rimpianti.
La stanchezza raddoppia e la velocità dimezza, ma l’arrivo finale è così ancora più bello. Ad essere sinceri è anche una sollevazione, un sorriso dove il corpo anticipa lo spirito. Questo tornare alla sostanza delle cose cancella anche le discussioni un po’ nervose su lavoro e vita quotidiana che hanno messo a confronto i diversi caratteri dopo il Col Neyron.
Sarà una sera ricca: non tanto per il rifugio, ristrutturato ma vecchio stile e poco fantasioso, quanto per l’ambiente potente, alpino, decorato da un tramonto che è tutto una scala di colori uno più intenso dell’altro. Sento l’aria della notte a 2700 m., sento il respiro del ghiacciaio del Gran Paradiso, la sensazione di freschezza che scende fino a sfiorarti il viso.
Abbiamo chiuso la giornata, splendida e durissima: 10 ore di cammino, i muscoli che tremeranno tutta notte per lo sforzo. La felicità e l’equilibrio che scaldano invece l’animo e che per una volta ti sembrano raggiungibili, concreti, tangibili. Quel mix che cerco da tempo, che non smetterò di inseguire. Ancora incompleto, ma più vicino di prima.
Rifugio Savoia – 10 Agosto
Ci sono giornate in cui ti svegli e tutto sembra andare storto: male il sonno, difficile l’alzarsi, cattiva la colazione e così via. Ci sono altre mattine in cui ti risvegli e tutti sembra cantare in accordo su note armoniose. L’aria solletica, la colazione carica e la voglia di sole anticipa una grande giornata.
Normalmente invece è un miscuglio di queste diverse sensazioni e molto dipende da come sentiamo e viviamo interiormente. La stanza minuscola non aiuta a restare calmi, ma la colazione sostanziosa riporta il buon umore nel gruppetto. Fuori ci attende un’alba cristallina, dall’aria trasparente e profonda: un invito irresistibile a mettersi in cammino. Che oggi riserva una vera perla naturalistica, il Pian del Nivolé, unico nel suo genere e che, assieme al massiccio del Gran Paradiso, dona originalità e fascino ad un parco davvero magico.
Per raggiungerlo però dovremo camminare tutto il giorno, costeggiare il fianco della montagna, buttarci in valle per risalire dalla parte opposta. Soprattutto perderemo uno dei compagni di strada: Fra, richiamata dal lavoro.
Senza pensarci troppo seguiamo il sentiero che porta verso il rifugio Vittorio Emanuele II fra saliscendi, chiuso in un cono d’ombra micidiale. Il panorama si concentra sulla Val Savaranche, arida e severa, ma il sentiero ci porta infine su un’immensa riva di erba e lastroni di granito dalle forme incredibili che appaga i nostri palati esigenti.
Il granito è il pilastro portante del Gran Paradiso e mi piace pensare che la natura abbia voluto condividerne una parte con noi su questa riva. Una roccia che segna il tempo, che attraversa la storia e rappresenta la saggezza che trascende l’uomo, la sua vita, il suo pensiero. Peccato invece per i ghiacci, ritirati sempre più in angoli oscuri. Peccato per quell’uomo che cerca nella montagna solo le sfide estreme. E peccato per gli altri uomini che la considerano un luogo ideale solo per un pic-nic domenicale o una veloce discesa invernale. Oggi è domenica e fiumane di montanari improvvisati invadono la via che risale al blasonato Vittorio Emanuele II alla ricerca di improbabili esperienze alpine. Tanti anziani e molte famiglie: ma noi giovani dove siamo? Dove abbiamo lasciato la nostra grinta ed il nostro spirito?
Lascio dietro di me questi pensieri e scendiamo a Pont dove sostiamo per il pranzo. L’occasione è buona per ritrovare lo yogurt ed il pane fresco, assaggiare la fontina e concedersi un espresso. Salutiamo Fra che non senza dispiacersi prende la via di Aosta. Per noi invece inizia la salita quotidiana, il giusto prezzo da pagare per lo spettacolo del Colle che si aprirà oltre la Croix sopra di noi.
Questa croce si para davanti allo spettacolo definitivo del gran Paradiso preso nella sua pienezza: un simbolo significativo in una giornata ricca di pensieri spirituali e sensazioni mistiche. Rappresenta anche la porta di benvenuto a uno dei luoghi più belli che abbia avuto la fortuna di vedere.
Bagniamo i piedi in una specchio d’acqua, tastiamo l’erba fresca e scrutiamo il nostro volto riflesso dove anche le montagne sembrano volersi rimirare. Poi camminiamo in rispettoso silenzio, quasi a voler accarezzare il terreno, e ci apriamo nella piana del Nivolé, che solo l’esperienza diretta può descrivere. Lo spettacolo, da questo punto al Col Basei, sarà continuo, da mozzare il fiato.
La giornata però volge al termine. Abbiamo il tempo di incrociare il rifugio Savoia e cercare di schivarlo: per un momento ci accarezza l’idea di un giaciglio più avventuroso e affascinante al rifugio Chivasso. Ma non vogliamo approfittare della buona fede delle persone e ripieghiamo sul primo.
Non sarà certamente una notte in rifugio da ricordare negli annali. Non sarà il tramonto più memorabile del percorso, anche se è quello conclusivo. Non sarà neppure una notte di stelle cadenti, nonostante ricorra San Lorenzo. Ma è certamente l’occasione per festeggiare i discorsi fatti insieme, le belle sensazioni nonostante le difficoltà. Un piccolo grande miracolo che per fortuna, in un modo o nell’altro, non si verifica così raramente.
E’ anche una serata di rivelazioni. Di fulminea lucidità, acerba e imprevista, che rivela verità ancora da metabolizzare nel cuore. Non c’è mai una scintilla precisa, eppure qualche volta eccole lì che non possono sfuggirci. E’ come il risveglio della coscienza da un torpore interiore. La risposta a domande dimenticate. Ma che da senso, da equilibrio: anche di questa magia sono capaci le montagne. Come se camminando si salisse alle altezze superiori della vita.
Una questione di prospettiva. Di persone che si incrociano, si trovano e si perdono. Di vite che si intrecciano. Di voglia di condividere. Di voglia di star soli. Quella delicata sensazione che ci sia un senso, come prima, anche domani. Senza l’ansia di averlo ora, di inscatolarlo, di predeterminarlo. Prendendolo come viene, per come viene. E vivendo davvero nel mentre.
Val di Rhemes – 11 Agosto
Fin dal risveglio la giornata ha il sapore della conclusione. Nonostante davanti a noi ci sia ancora un colle oltre i 3000 m., il rientro sembra ormai prossimo. Si mescolano le sensazioni più diverse, dal sollevamento per la fine delle fatiche alla felicità per il percorso fatto. Ma soprattutto si percepisce già il dispiacere di dover lasciare questi luoghi, di smettere questo viaggio in forma di cammino, di salutare le persone con cui si sono condivisi momenti intensi.
Le emozioni comunque non mancheranno lungo i sentieri conclusivi e potremo finire in vera bellezza la strada. Il risveglio però è difficile, tra colazione scarsa e dolori dovuti alla stanchezza accumulata. Quando siamo stanchi siamo anche meno facili da gestire ed i diversi caratteri non mancheranno di far sentire la loro voce soprattutto nell’interminabile discesa finale.
Meglio riportare al centro il sentiero e lasciare che sia lui a far da padrone mentre ci alziamo sopra il Col del Nivolé… Ci inoltriamo in un mosaico di laghi e prati alpini, lasciamo che la tensione si sciolga nel sudore che traspiriamo e ci riempiamo il cuore. Ancora una volta camminare è purificare, la fatica come una medicina di cui il corpo non andrebbe mai privato.
La via che risale il Col Basei non tradisce le aspettative. Siamo rincorsi dalle nuvole che si alzano veloci, ma il nostro sguardo può spaziare oltre l’immaginabile. Un mare di nebbia in valle, le cime bianche e nere per il controluce della mattina, i riflessi turchini dei laghetti. Troviamo una pace ed una serenità di cui avevamo sete. Al giovane milanese che ormai è in me sembra quasi irreale: è invece un dono splendido.
La salita è anche impegnativa e solitaria, senza anima viva. Porta ad un colle dove si apre un panorama profondo, vario, apparentemente infinito. E’ il punto più elevato, in tutti i sensi, di una mattina spettacolare, una Galleria Borghese della natura, un trattato d’arte all’aria aperta.
Mi sento come in una cattedrale dove fermarmi a pregare. Anche se il credo non è religioso, lo spirito umano s’innalza allo stesso modo. E’ un tempo anche conviviale, tra formaggi e cioccolate; ed è il tempo di fermare delle istantanee, buone domani per risvegliare i ricordi. Perché in qualche modo questo colle è già leggenda nelle nostre vite.
Ho il tempo di cogliere l’immagine perfetta per l’idea di lonely walker che ho in testa, poi le nuvole ci raggiungono cogliendoci alle spalle. E’ tempo di scendere perché il cielo inizia a coprirsi seriamente anche oltre il colle, mentre a noi manca ancora qualche ora di duro cammino. Il metro della lunga e distruttiva discesa è dato dalle pietraie in cui la traccia si perde tra nebbie e rumori sordi. Diamo fondo a tutte le energie e non vediamo l’ora di raggiungere il rifugio Benevolo.
Anche il tempo di salutarsi è arrivato. Eliz resterà al rifugio ad aspettare i genitori, noi scendiamo a farci raccogliere in valle da nostro padre. Ci scambiamo un abbraccio che suona come un arrivederci; riempiamo la borraccia di acqua fresca; ci buttiamo infine a gran velocità per non mancare l’appuntamento. Non c’è molto spazio per altro, il temporale non concede un minuto di più.
Sensazioni miste, contorte e affaticate si alternano lungo gli ultimi tornanti. Sento il puzzo delle auto, capisco di essere ridisceso all’altezza dell’umanità moderna. Si fa presto a incrociare le prime code, a rivedere le agitazioni familiari. Però cosa importa? Sono davvero importanti, mi chiedo?
Mi giro sul sedile posteriore dell’auto e vedo le nuvole inghiottire le montagne: una bella lotta. O forse una bella armonia. La natura che si riprende la natura, la roccia e la terra che si rimescolano con l’acqua ancora una volta. E noi uomini che scappiamo per trovare riparo. Non dovremmo: l’equilibrio è la fuori e la pioggia è solo una fortunata occasione di percepire la grandezza in cui viviamo.
Non voglio dimenticarlo scendendo sempre più in basso, ritornando a casa. Nell’attesa del prossimo cammino.
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