Dolomiti 2008

22 Feb

Rifugio Galassi – 18 Agosto

Il rumore scoppiettante del treno a due vagoni sulla linea Belluno–Calalzo. Non ricordavo fosse ancora a gasolio, un grosso bruco puzzolente e rumoroso che lento risale i binari vero le Dolomiti venete. Ma è perfetto per la partenza di questo cammino, che si fa antico, profondo, carico di significato fin dai primi istanti.

Su questa stessa linea scendevo in direzione opposta sei anni fa, anche allora solo, dopo aver percorso da nord a sud una bella porzione di montagne. La prima delle avventure, l’inizio di un tempo. Ricordo l’emozione dei primi passi senza nessuno attorno, la solitudine del terzo giorno, il freddo di quella maglietta di Hurgada, l’alba di luce dell’ultimo mattino.

La foto di quell’alba divenne la copertina di alcuni cd che regalai a Natale. Mi chiedo dove finiranno le foto di questo cammino, oggi come allora istantanee di quello che sono.

Ma quel passato è chiuso per far posto ad un tempo nuovo. Sono eccitato al pensiero delle Dolomiti che da un anno non ritrovo, del cammino e del deserto che mi attende, della meditazione che cerco, della rinascita che sento. Sono eccitato anche per tutto quello che verrà dopo, oltre questi pochi giorni: il futuro… che bella compagnia!

Come per un segno del destino, nelle oltre sette ore di treno, sto divorando Into the Wild, il libro di Krakauer. Ricco di spunti, carico di immagini e di emozioni. Una storia che mi parla al cuore: per alcuni versi mi sento un po’ come Chris. Ho la sua età, l’età di quando morì nella foresta, pare proprio il 18 di Agosto.

Colgo al volo qualche frase… Destino. A tutto si può rimediare, tranne la vera mancanza. La vera felicità è quella condivisa.

Penso che però siamo diversi, che io sono più responsabile e meno integralista di lui, che non mi caccerò nei pasticci. Poi sorrido di me stesso, mentre vagheggio avventure sullo sfondo in movimento delle Dolomiti bellunesi. Il cammino che sto per iniziare sarà di quattro giorni, in solitaria. Nessuno ha risposto all’appello, nessuno è venuto. Una sorta di Hike personale: forse me lo sono anche cercato.

Per arrivare a godere della brandina del rifugio Galassi, 2000 m. di altezza e ancora l’imponente Antelao che ti sovrasta, devo percorrere un’intera valle che da Calalzo di Cadore, con una lunga salita, risale il letto del fiume. Le ore prendono a scorrere sotto i miei scarponi; sbaglio sentiero, guado un torrente; entro nel letto asciutto del fiume e ci cammino sopra per qualche tempo.

Le cime dolomitiche fanno bella scena nella giornata assolata. Poco adatte per le foto, troppo controluce, ma perfette per banchettare a pranzo con cioccolato, cracker e frutta secca. Poi il protagonista è solo l’Antelao, la sua alta cima con i piccoli e indifesi ghiacciai, il rifugio che manifesta il suo passato di caserma militare. Sento che l’uomo può fare ancora poco al cospetto di questa natura: cerca di dominarla, ma non potrà mai eguagliarla in bellezza.

Un fascino che miete ancora tante vittime: solo negli ultimi giorni il numero di morti in montagna è incredibile. L’uomo non vuole imparare la lezione del rispetto, sprecando un’occasione di inestimabile valore!

Al rifugio siamo in pochi, appena una decina. Tanti si sveglieranno presto per salire alla cima dell’Antelao, fieri della loro impresa. Io invece proseguirò verso nord, cercando il mio wild. Rifugio vecchio stile il Galassi: tutto CAI e tutto Italia. Gestito curiosamente da romani molto simpatici. E naturalmente non trovo nessun coetaneo. Ormai non me ne stupisco più, lo so prima ancora di mettermi in strada: siamo soprattutto noi giovani, piccoli italiani in divenire, ad abbandonare la montagna. Troppa fatica, tanto spreco.

La sera si conclude con una tisana al finocchio e la conclusione del libro. Toccante, delicata, tragica. Resto profondamente colpito ed esco per sentire il profumo della notte, commosso. Penso ai genitori che visitano il luogo dove Chris è morto un anno prima: sento un amore prima rifiutato e allontanato, poi estinto per sempre. Non è possibile rimediare, il dolore sarà per sempre.

Ma finché si è ancora in tempo, bisogna cercare di rimediare. Cambiare: riprendere la strada. Ritrovare le persone. Condividere.

In questi giorni, mi occuperò di ritrovare me stesso e riprendere la strada. Sei anni fa con un po’ di follia già ci provavo: maglietta di Hurgada, bianca e larga e sudata, come emblema di uno che, almeno un po’, batte sentieri diversi. Oggi non ho quella maglietta, ma ancora di più mi sento di un altro mondo.

In questo mondo, dove voglio vivere e cercare di essere felice, ma con uno spirito diverso, pieno di fiducia in quello che crede vero.

Rifugio Città di Carpi – 19 Agosto

Accovacciato sull’erba davanti allo spettacolo del sole che cala, su una sella laterale a sud dei Cadini di Misurina… è qualcosa di difficilmente descrivibile a parole. Le emozioni che ho dentro di me, la pace che regna tutt’attorno e che ti penetra dai sensi. C’è un equilibrio magico nella natura, quasi incredibile. Ormai, quando abbiamo dimostrazione di tutta questa bellezza, se ci siamo dentro e la percepiamo davvero, non possiamo che stupirci, scioccati dalla semplice armonia a cui non siamo più abituati.

Che bello stupirsi ancora.

La giornata era iniziata con un umido risveglio. Pareti di rifugio gelide, aria che si sarebbe potuta strizzare. Fuori però s’intuiva la splendido cielo senza una nuvola, che invitava solo a mettersi in cammino. Una giornata fatta di viste splendide, dal Pelmo alla Marmolada e ai Cadini. Ma soprattutto il momento delle foreste, giù dalla Forcella Grande nel passaggio tra Sorapis e Antelao, fino a questo pratone dove mi sono regalato una pausa di contemplazione prima di entrare al Città di Carpi.

Poco sopra il Galassi, quasi alla partenza del cammino, ho assistito anche ad una grossa frana e spero che non ci siano persone coinvolte. Queste cime sono spettacolari, ma anche marce. E qui nella parte veneta del territorio prendono un aspetto in qualche modo decadente. Le Dolomiti dell’Alto Adige sono un miraggio, anche solo a pochi passi dallo spartiacque: dall’altra parte sono più vive, più valorizzate, anche più sfruttate.

Da questo lato ricordano il passato e i vizi di noi italiani: una sorta di far west che tanti visitano solo per il richiamo che ancora esercita, fermandosi ai soliti villaggi fantasma conservati come attrazioni turistiche. Ma non troveranno così la vera anima del west, e non scopriranno davvero le Dolomiti. Un tratto ormai non insolito nelle nostre regioni alpine, battute da centauri e famiglie affamate di pic-nic e foto ricordo, dimenticate dai residenti e dalle mappe di uno sviluppo possibile e sostenibile.

Ma questa provincia d’Italia che si richiude su sé stessa, conserva ancora viste come quella che ho davanti. E sa donare l’impressione di essere davvero into the wild, nella distesa della foresta di abeti e larici, senza interruzioni e senza segni evidenti della presenza dell’uomo, inghiottito dalla natura. L’umanità è percepibile, ma è intrecciata nella forza della purezza naturale.

Posso allora vivere sensazioni di selvaggio tanto difficili da trovare altrove. Il silenzio aiuta; i suoni, il vento sul volto; gli escursionisti che hanno scelto altri sentieri per le loro odierne camminate; il passaggio rispettoso nei boschi; la contemplazione quasi religiosa dalla sella di erba fresca verso l’opera artistica dell’ambiente in cui viviamo.

Mi sento parte di ogni cosa, mi sento sicuro sul sentiero, aperto alle sorprese del percorso, fiducioso nella meta da raggiungere, oltre la quale regna ancora l’ignoto. Quale cosa potrebbe solleticare di più la mia curiosità?

La magia però si può spezzare, in particolare se s’incrocia una strada statale ed i parcheggi per la sosta. Vedo l’egoismo dei ristoratori e la nostra incapacità di valorizzare la montagna. Per fortuna la purificazione viene subito dopo, con la salita dura e intensa verso il rifugio. Sudo fuori ogni cattivo pensiero e ritrovo l’energia delle cose semplici ed essenziali. Non mi curo del grasso che gonfia le polo di marca degli ennesimi italiani a passeggio e cerco senza sosta il panorama che infine, sulla sella, conquisto con un sorriso di felicità.

Bella serata. Rifugio giovane, genuino. Forse un nome infelice per un posto che merita. Ancora in pochi a dormire, ma i ragazzi che servono a tavola aiutano ad animare la sala con un po’ di baccano. Buona cena, già qualche influenza altoatesina; arriva finalmente la birra hefe, rigorosamente gustata all’aperto accucciato sull’erba. Poi il sonno, un buon riposo carico di sogni.

Ricco negli occhi e nel cuore di quegli attimi di puro godimento, il corpo a diretto contatto con la natura, quaderno alla mano e birra alla bocca. Scrivere, fare una pausa; riprendere a scrivere e poi fermarsi. Respirare e assaporare con i sensi. Una degustazione unica. Solo di persona è possibile comprendere la bellezza, il valore, di essere qua in alto in armonia e felicità.

Altre parole non servono.

Rifugio Piani di Cengia – 20 Agosto

L’avventura, la montagna, la tempesta. Oggi si è scatenato un forte temporale, la grandine mi ha benedetto per mezzora a 2400 m. cogliendomi su sentieri deserti. Un cammino, una strada per rigenerarsi.

Inizia la giornata con ottima colazione ma tempo variabile. Il freddo è pungente per la stagione; il sentiero però scende presto a valle e l’ambiente si riscalda. Mi trovo sotto un mantello di nuvole così vicine da poterle toccare. Non piove ma ogni cosa sembra pietrificata in attesa dell’acqua: uno spazio eterno, quieto, senza traccia dell’uomo sull’erba fresca di rugiada. Solo i rumori della foresta e la presenza incessante dei Cadini di Misurina mi accompagnano.

Infine un ciclista, poi un altro. Un cercatore di funghi, poco fortunato. Il silenzio però non si interrompe mai: sulla stretta via, per un tratto asfaltata, che riprende a salire, la natura è padrona. Il respiro della terra guadagna il palcoscenico ed è deserto. Il contatto tra le montagne e le nuvole basse è una linea di mondo che si confonde, un confine di bianco spento che lascia spazio per composizioni proprie. Meditazione e fatica sul sentiero che sale senza riposo. Sudore che si scioglie nelle prime gocce di pioggia. Tutto muove le corde dell’animo a comporre sul foglio bianco, a scrivere una piccola rinascita.

Niente fuochi d’artificio o proclamazioni, ma una bella pioggia forte e la grandine a battezzare. Suona una sinfonia nuova su note che cambiano piano e senza rumore. Importante è tornare ad ascoltarsi. A sentire. La discesa del freddo sul corpo dei righi d’acqua, il passo veloce e deciso verso la meta ancora lontana, un cammino come sospeso tra realtà e sensazioni. Ancora oltre è tutto da scoprire e aspetta solo noi!

Sono alla brandina tra mura di legno. Il bagno minuscolo in questo rifugio raccolto è infine una grande gioia. La torta di grano saraceno e le birre. Dolci ricordi, bello ripercorrerli. Letture dentro, pioggia incessante fuori. I pensieri ed il calore sul corpo. Ancora una cena, già l’ultima, abbondante e buona. Chiacchiere serali come un ponte tra Austria e Alto Adige.

Nel sacco a pelo osservo nel buio il soffitto a una spanna dal mio naso e mi lascio andare al sonno ed ai sogni. Un passato che si proietta nel futuro, diverso e curioso. Cerco già l’alba e sento la luce tenue che illumina il corpo e la mente…

Val Pusteria – 21 Agosto

So di scendere presto oggi, ma ancora voglio assaporare l’aria delle cime, per conservarne il sapore. Salgo sopra il rifugio, sulla cengia: cerco un’alba ritardata dalle nubi. Nuvole che giocano con le vette delle Dolomiti di Sesto e lentamente di disperdono in un balletto celeste di roccia acqua e luce. Seduto ora davanti all’orizzonte che si perde verso nord, due sassolini bianchi in mano destinati a due persone. Cuore caldo di un mattino nuovo.

Colazione tra le migliori nei rifugi d’alta montagna. Energia e adrenalina per questa giornata: un treno a 5 ore di distanza che, in qualche modo, già corre sui binari. Si scende al mondo oggi, si rientra in quella che amiamo chiamare civiltà. Quando arrivo alle Tre Cime le persone sono già molte. Al Rifugio Lavaredo si puliscono griglie per la carne come si farebbe in una qualsiasi festa di paese. In verità tutti ancora vagano assonnati e sforzano gli occhi per lo spettacolo delle tre punte che spiccano dalle nuvole, coronate dalla luce del sole che si alza. Non sembra neppure pietra quella delle Dolomiti: materia artistica, plasmata secondo un’armonia che trascende l’uomo.

Un ultimo passo, un ultimo sguardo: alle mie spalle solo discesa, discesa e ancora discesa. E italiani naturalmente, al rifugio Tre Scarperi: una comitiva enorme di famiglie scatenate. Tutti felici e ignari che su un sentiero poco lontano sono morte alcune persone poco prima: solo nell’aria resta una traccia del sangue versato continuamente in montagna. Una disarmonia nell’equilibrio della natura: chi siamo che averla invasa? Dovremmo entrare con le pantofole buone, con rispetto e sensibilità. I nostri occhi ed i nostri sensi intorpiditi si aprirebbero. Cambierebbe il nostro cuore, il primo passo per cambiare tutto.

Arriva l’ultima parte del cammino: la traversata di una foresta intricata e antica, che si apre infine sul Baranci dove invece regna il moderno e l’uomo: una spiaggia verde a 1500 m. sopra San Candido. A modo suo pure divertente, ma scappo veloce con la seggiovia verso la stazione del treno, dopo un ridicolo lavaggio improvvisato nel bagno degli impianti.

Il treno per fortuna non corre, viaggia pacifico e mi dona il tempo di curiosare e riflettere. Una strada diversa, fatta di ferro, ma non meno ricca. Il panino a Fortezza per pranzo. Il libro “Resurrezione” di Lev Tolstoj che parla ad alcuni angoli inesplorati del cuore. Le ultime viste sulle Dolomiti, il piacevole ricordo del rifugista di Tesimo e della bella altoatesina “Signor Stefano”. E il tramonto che si riflette nell’intero arco alpino mentre il treno scorre, ora veloce, lungo la pianura. Con un ultimo raggio rosso del sole ad incendiare i tralicci della luce.

Scorre anche la mia anima: la strada che inizio, con passo calmo e deciso, guarda lontano. La consapevolezza che bisogna sempre cercare la bellezza, anche nel dolore. Soprattutto la voglia di condivisione, per la quale non bisogna mai arrendersi. Non è questo il caso, e ne sono felice.

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Una Risposta to “Dolomiti 2008”

  1. "apollo beach home bargain" 3 marzo 2014 a 05:46 #

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    Going through this post reminds me of my previous roommate!
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    Thanks for sharing!

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