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15 Dic

Dopo le esperienze dell’anno scorso, ero molto prevenuto sul tempo dei mercatini natalizi, qua in Alto Adige.

Non che i timori siano stati smentiti: traffico pazzesco, smercio senza valore delle tipicità locali, turisti a flotte… e ancora mancano un paio di settimane!

Eppure questa volta è andata diversamente. Sarà stata l’esperienza, sarà questo momento di forte cambiamento, sarà la scoperta di piccole chicche curiose e piacevoli – tutto sommato, il tempo dei mercatini mi è piaciuto!

La forza di Tramin e la passione di Falkenstein hanno rimesso il vino in primo piano /

esaltando ancora più la gioia della cena ruspante al Santlhof /

o il caos bolzanino, redento da un ultimo törggelen poco ortodosso ma di gran qualità al Haidgerberhof /

ma anche il piacere straniante della musica indi con i The Pleasants /

e la ricchezza dell’atmosfera nei mercatini di Vipiteno o Chiusa /

condita meravigliosamente dai pasticci di Acherer e dalla degustazione al Pretzhof /

e in chiusura, i biscotti in casa ed il primo skitour verso il cielo del Rittnerhorn!

Lascio la parola alle immagini, che non possono far vivere le situazioni – però almeno ne danno un’idea :-)

I Giorni del Libero Mercatino

22 Dic

Muoversi durante il ponte di Sant’Ambrogio è un’idea quantomeno discutibile: a seconda della meta e della stagione, il viaggio può trasformarsi in tragedia o in commedia, ovvero in un miscuglio delle due con trama incerta. Se poi il luogo prescelto è l’Alto Adige e il periodo è quello natalizio, c’è la garanzia di vivere un tranquillo ponte di epica passione. Nel male come nel bene.

Avvento e Natale in queste valli più o meno famose sono oggi sinonimo di turismo, turisti e mercatini natalizi. Scarso spazio viene riservato ai valori profondi, familiari e sociali, delle settimane sempre più fredde di Dicembre, che culminano finalmente con le feste più attese dell’anno. O almeno così sembra ad un primo sguardo: code di auto e bus, treni stracolmi, centinaia di migliaia di visitatori per milioni di accoppiate vincenti vin brulé – strudel.

In tutte le principali località si svolgono gli ormai tradizionali mercatini di Natale, anche se in realtà non possono vantare una lunga storia. A Bolzano abbiamo il più grande, Bressanone e Merano ne allestiscono altri molto frequentati e pure in vari paesi minori, come Sarentino o Vipiteno, si snodano fra le vecchie vie piccoli e raccolti mercatini. Inoltre per il ponte di Sant’Ambrogio, che in queste valli si accompagna all’antica festa di Sankt Nikolaus, quasi ogni borgo organizza celebrazioni e ritrovi, eventi in piazza e piccoli baracchini (ma di lusso) dove servire specialità e brindare con una tazza blu di vino caldo profumato alla cannella.

Un festeggiare di grande successo, dal punto di vista commerciale. Senza dubbio le organizzazioni locali hanno saputo costruire con vantaggio negli anni, fino ad attirare in queste regioni nordiche un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo. Un vantaggio però che non premia tutti allo stesso modo: ci sono quelli che in quattro settimane fanno la fortuna di un intero anno, e quelli che devono sopportare clienti tanto curiosi quanto poco inclini all’acquisto.

Nel mescolarsi di tutte queste genti, viene naturale chiedersi se le città nel complesso, ma anche la regione tutta, tragga ormai un genuino vantaggio dalle orde di turisti in visita. Per citare alcuni degli ovvi problemi, troppo spesso sottovalutati con sciocca miopia: congestione e inquinamento, riduzione della qualità ricettiva, diminuzione della qualità della vita per i residenti, massificazione della destinazione col rischio di perdere quell’immagine di unicità ed esclusività indispensabile per sostenerne l’attrattività.

C’è chi ne ha parlato in modo compente (e giustamente appassionato): l’Alto Adige sta scherzando col fuoco del suo stesso successo. Fino a quando sarà capace di domarlo, nessuno può dirlo. Potrebbe anche darsi che ci si trovi già oltre il confine, quella sottile linea rossa tra valorizzazione di un territorio e frettolosa/pericolosa svendita dello stesso. Spostarsi a Bolzano il 6 Dicembre era (a dir poco) una tragedia, i dolci e le bevande (mal) gustate nella calca andavano di traverso e le (difficili) chiacchiere con gli amici in visita avevano il tono di una commedia nera.

Sono le regole del Libero Mercato (meglio: del Libero Mercatino Natalizio), qualcuno potrebbe argomentare, soddisfatto del tornaconto personale, concreto o presunto. Allora si mette in vetrina il meglio dell’Alto Adige e si fa dell’accoglienza, della tradizione, dell’ambiente i propri punti forti e imprescindibili? Qualche dubbio sorge. Ai mercatini troppo spesso speck, strudel e glühwein (= vin brulé) sono prodotti mediocri dal facile smercio: un ottimo guadagno per i forti gruppi che ne controllano produzione e distribuzione di massa. Le casette natalizie ospitano ben poche produzioni locali, tradizionali e artigiane, preferendo vecchi espedienti per cogliere al volo i sornioni turisti e spennarli di qualche euro. L’ambiente resta sullo sfondo, ancora magnifico visto dalle lontane vie della città (per chi lo nota). Ma nelle pieghe delle montagne si incidono ferite sempre più dolorose che, per quanto ancora poco visibili, sviliscono il motivo stesso per cui questa terra è tanto ricercata.

Non credo che i Giorni del Libero Mercatino faranno la vera fortuna del territorio altoatesino. Non sappiamo a quale curva del sentiero ci troviamo e se ancora conserviamo abbastanza fiato per proseguire senza cadere rocambolescamente. Gli esempi di valli in forte declino o già moribonde, un tempo ridenti stazioni turistiche sia estive che invernali, sono numerose in tutto l’arco alpino e anche oltre. Mentre già si affacciano sulla scena leopardi delle nevi e lupi dell’est con una carica sempre più travolgente.

Mi viene in mente lo spettacolo “Miserabili” di Marco Paolini con i Mercanti di Liquore, che qualche anno fa avevo visto a Milano e poi riascoltato tante volte in disco (e trasmesso anche da La7): un lavoro artigianale e genuino, decisamente ruspante. Nella bella canzone di chiusura dell’album (Liberomercato) si parla dell’incontro tra democrazia e libero mercato… una relazione dall’esito incerto, ma fondamentale. Forse solo un senso partecipativo della libertà individuale potrebbe cambiare la qualità della vita, privata come sociale, anche nel proprio territorio.

In Alto Adige ci sono segni positivi e motivi di ottimismo, non scontati e ancora troppo nascosti. A Sarentino il mercatino è piccolo e raccolto, l’atmosfera è accogliente (gemütlich), i prodotti sono locali e artigianali. Tutto questo ha un prezzo: richiede voglia di cercare e scoprire, uscendo dai pacchetti preconfezionati del turismo di massa. L’intera Val Sarentino racchiude innumerevoli gemme e una sola visita non può bastare: formaggi e speck da sballo (@elisamarco) in originali malghe, minuscole saune con profumi di pino mugo, remote pareti di montagne ottime per sciare in pace, realtà famigliari che condividono la propria tavola semplice e genuina.

La ricerca è come una salita, che all’inizio ci domina minacciosa, e alla fine ci ricompensa generosamente. Dall’alto di un giogo alpino, così vicino agli alberghi di lusso eppure così lontano nella foresta dimenticata, si può ritrovare una dimensione umana che stiamo lentamente perdendo. Tra un estremo e l’altro, tra la massa impazzita e il silenzio immobile del gelo invernale, esistono tanti livelli intermedi fatti di momenti belli e memorabili. Una cena in compagnia in un antico maso condotto dal polso sicuro di una giovane altoatesina; una serena giornata di dure salite in sci e discese profumate nei vapori dell’acqua; il caldo di casa tra musica e coinquilini per un allegro brindisi natalizio; il fresco mattutino ed il canto raccolto della Chiesa in celebrazione; quel minuto di silenzio fra le impronte profonde nella neve fresca, cercando di rintracciare il passato ma scoprendosi, con stupore, di essere già un passo oltre.

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Per qualche altra foto dei Giorni del Libero Mercatino, clicca qui.

Sorsi di Barbaresco

6 Dic

Fingersi esperti di vino e girare per cantine tutto il giorno: semplicemente un’esperienza favolosa!

Anche chi non può dirsi un intenditore (come chi scrive), chi non ha fatto corsi e non ha referenze da sommelier, semplicemente col gusto e con la giusta curiosità, può divertirsi e imparare molto. Si, anche imparare: a distinguere, a degustare invece che semplicemtne bere e mangiare, a dare il giusto valore al lavoro ed alle tradizioni, alle capacità ed alla poesia di un luogo.

Sabato scorso sono stato in Langa con un gruppetto di amici (un insieme eterogeno e strambo, quindi azzeccato). Le Langhe, terra italiana piemontese cuneese, è soprattutto un territorio estremamente vocato alla viticoltura. Traducendo: i vini che si producono intorno ad Alba sono tra i migliori d’Italia e del mondo intero. Alcuni dei nomi più celebri hanno le radici affondate nelle basse ma ripide colline che ondeggiano a sud di Torino: Barolo, Barbera, Dolcetto, Barbaresco, e altri ancora. E’ la terra della celebre cantina Gaja. E’ la terra dei tartufi. E’ insomma un ambiente in cui si mangia e si beve bene, e qualche volta benissimo.

Mi fermo qua: perché esplorare tutte le Langhe sarebbe un compito oneroso, che chiamerebbe in causa anche pesia e letteratura, storia ed antropologia, economia e molto altro. Noi ci siamo fermati nei dintorni di Barbaresco, per degustare (e acquistare, ovviamente!) alcuni grandi Cru della zona (Cru = appezzamenti più vocati alla viticoltura, che danno grandi vini, in genere): Montestefano, Rabajà, Nervo, Pajoré, Rizzi. Sono sempre uve Nebbiolo, vitigno autoctono, cioè locale (per la gioia di Slow Food – che per inciso è nato sempre in zona), provati in varie denominazioni: Barbaresco, Dolcetto d’Alba, Barbera.

Le nostre guide, i delegati Stiv Novati e Gordon Pagani, sommelier dal naso fino e dalla forchetta buona, ci hanno condotti in tre cantine, selezionate attentamente per qualità e caratteristiche specifiche (ora mi spiego). In ordine orario: Rivella, Luisin, Rizzi. Nel mezzo, una breve ma sostanziosa pausa pranzo in un vicino ristorante, dove abbiamo gustato anche i Tajarin (la foto rende più delle parole, mi pare). Ma la giornata era vino-centrica ed i campioni (così si parla!) provati, non pochi, condividevano tutti lo stesso spirito vinicolo (si, mi si passi il termine): una filosofia produttiva che predilige la tradizione, senza negare il progresso, ma cercando di conservare i tratti caratteristici ed unici dei diversi vitigni.

Per questo non c’erano vini affinati in Barrique, tranne un Barbera, in ogni caso ben fatto. Il passaggio del vino nelle botti piccole di rovere francese (o dell’est Europa… la globalizzazione non risparmia certo il vino), non è di per sé un male, anzi: dona struttura e piacevolezza, arrotonda il prodotto e lo rende accattivante. Alcuni dicono sexy: ecco perché consigliano di offrire questi vini per conquistare una donna. Peccato che queste tecniche di affinamento siano spesso abusate, portando ad un appiattimento del vino su gusti tutti uguali e monotoni. Sparisce la tipicità e la diversità, quindi l’unicità del vino al palato. Forse allora meglio conquistare con un vino unico, come la donna a cui lo si offre.

Ma scendiamo dalle nuvole, restiamo a terra. Le tre cantine realizzano ancora il vino in vigna (e dove, altrimenti?), senza barbatrucchi e trovate commerciali. Sono prodotti che impiegano anni per essere pronti da bere: 4 sono ancora pochi, meglio dai 5 anni in su. Prima sono bambini, e scalpitano nel bicchiere come sulle papille gustative. Ma una volta maturi, quando possono esprimere la loro struttura complessa e articolata, sono grandi vini per buoni momenti in compagnia o da soli.

Credo però che il vino sia migliore se condiviso, gustato al momento giusto con le persone giuste. Non sempre funziona così… ma quando riesce, non si dimentica! Intanto noi abbiamo caricato le macchine di bottiglie, e ora non ci resta altro che organizzare feste, cene, degustazioni per consumare questi estratti di storia e tradizione, lavoro e passione, tenacia e, perché no, poesia.

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Per vedere altre foto scattate tra le vigne del Barbaresco, clicca qui.