Difficile abituarsi alla polvere sotto gli scarponi, agli alpeggi ingialliti ed al solco evidente dei ghiacciai che furono. Il carico di storia e tradizione racchiuso nel corpo gelido di queste cattedrali di ghiaccio si scioglie inesorabilmente, calando verso la pianura, disperdendosi in mille rivoli. Mi auguro possano dare buon frutto, perché intanto la montagna resta nuda, spoglia del suo mantello.
La Valle d’Aosta è il regno delle alte cime, delle possenti montagne poste a nord-ovest dell’arco alpino. Uno scrigno prezioso di ripidi sentieri sul palcoscenico maestoso del Cervino, del Rosa, del Monte Bianco, del Gran Paradiso. La Vallée, come tutti la chiamano, era ed è ancora una delle grandi riserve di natura e di storia delle Alpi.
Eppure il clima di questa estate sembra capace di squagliare ogni cosa. Nonostante l’inverno dalla neve copiosa, nonostante la resistenza dei vecchi e degli alpigiani, la Valle mostra un volto pallido, sbiadito. Almeno questa è la prima impressione che colpisce lo spettatore. Coprendo inevitabilmente tutta una serie di piccole gemme che ancora restano incastonate nel paesaggio, ma che sono sempre più difficili da scovare.
La terza settimana d’Agosto mio fratello ed io abbiamo pensato di tornare ad esplorare la Valle d’Aosta, come un anno prima, basandoci sul nostro piccolo appartamento nella capitale. L’idea era di camminare fra i giganti, senza trascurare l’aspetto gastronomico e culturale. Abbiamo rincorso la montagna attorno al Cervino e salutato la vetta più alta, il Monte Bianco; abbiamo gustato i formaggi e ci siamo lasciati viziare da alcuni prodotti particolari.
Ma abbiamo anche sperimentato la scarsa propensione turistica dei valdostani, almeno nei confronti del nostro tipo di turista: un viaggiatore camminatore, non un mero consumatore di pacchetti preconfezionati. Forse la Vallée non sa ancora valorizzare e proporre pienamente le proprie qualità, come invece meriterebbe. Non so di chi sia la colpa, non spetta a me dirlo. Ho avvertito però il peso di una tradizione turistica antiquata, espressione della monocultura del profitto.
Pila, ad esempio, è certamente il paradiso dello sci alla portata di tutti, comodo e facile: arrivi subito, consumi veloce le piste, rincasi in poche ore. Ma durante l’estate si trasforma in una spiaggia a 2000 m. dove perfetti sconosciuti cercano disperatamente un’alternativa al solito mare. L’aria calda e spessa non li scoraggia. E mentre l’ultimo dei camminatori cerca una via tra piste, impianti, laghi artificiali per l’innevamento, bar e ristoranti, il sole arrostisce lentamente la pelle dei bagnanti in un mare di polvere.
L’immagine che mi ha colpito di più nelle varie camminate è l’alpeggio secco, prosciugato dal vento e dalla luce, disidratato per l’assenza di precipitazioni. Tutto appare giallo ed ogni cosa sembra sofferente, se non morta. Non solo le rocce a 3300 m. ed i prati come fieno ben oltre il limite dei boschi: ogni ghiacciaio è un esercito in ritirata senza via di fuga se non quella di sparire. E la stessa acqua che, disertando dalle file più esposte dei seracchi, si getta fra le braccia delle valli, sembra incapace di donare rigogliosità.
Cervino e Monte Bianco sono due vette maestose, veri inni di grazia e potenza che la natura ha plasmato lentamente, centimetro per centimetro. Non basterebbero giornate intere per coglierne tutti i volti. Infatti le montagne sono un po’ come le persone: ad ogni incontro rivelano un nuovo carattere, un tratto inedito che mai avevamo colto. Nel dialogo tra cielo e terra in cui conduciamo le nostre vite, sono queste relazioni naturali ed umane a determinare la nostra felicità.
Scendendo in valle ed attraversando i paesi di montagna diventati città senz’anima, fotocopie di cemento e legno, non potrebbe essere più forte il senso d’inadeguatezza. Avverto una disarmonia crescente a Cervinia come a Courmayeur: la presenza umana non è più in equilibrio con il proprio ambiente. Da tempo ormai abbiamo oltrepassato un limite invisibile ma determinante, dimenticando che il nostro benessere è profondamente correlato con il benessere del paesaggio in cui viviamo.
Gli insediamenti in montagna erano un tempo, e lo sono ancora oggi in alcuni casi, un laboratorio privilegiato delle relazioni tra l’uomo e la natura. Per secoli un rapporto di rispetto e di convivenza con le piante e gli animali ha permesso all’umanità di svilupparsi per raggiungere cime sempre più alte. Oggi invece in questi luoghi si percepisce la distanza ed il disinteresse dell’uomo di città, del consumatore occidentale che cerca la quantità a scapito della qualità.
Non a caso i due paesi di montagna sono pieni di milanesi e turisti delle terre basse; non mi stupisco neppure della scomparsa di molte produzioni artigianali, mentre tanti operatori turistici (ristoranti, negozi, bar e panetterie, ma non solo) fanno a gara per spennare i passanti. Purtroppo, non sentono il bisogno d’instaurare un rapporto basato sulla qualità quando i portafogli si aprono comunque e senza battere ciglio!
Naturalmente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Non è vero, vorrei dire ad una certa pasticceria di Courmayeur, che non si trova pane buono in Vallée in estate. Senza neppure rendersi conto dell’assurdità delle sue parole, quella cara signora ignora che ad Aosta c’è un buon panettiere che conosce le virtù del lievito madre. E che un paio di pasticcerie sanno ancora regalare emozioni alla vista ed al palato con i loro delicati prodotti.
In Vallée infatti non esistono solo fontina e lardo. Sono tanti i prodotti che meritano di essere cercati e scovati, come tartufi sotto le foglie secche del vecchio sistema turistico. Non bisogna fermarsi ai primi banchi del supermercato o alle facili promesse dei negozi in bella mostra: come le sirene del mito, attirano sguardi e voglie ma spesso tradiscono gli avventori. Se si riesce a resistere, se si esercitano i propri sensi intorpiditi da coloranti ed esaltatori del gusto, soprattutto se si segue l’istinto innato dell’uomo verso ciò che è buono e genuino… allora le sorprese non mancano!
Ad essere del tutto onesti, anche qualche buon consiglio non fa male. E si possono degustare ottimi formaggi di capra, accompagnati con pane nero, biologico a lievitazione naturale. Si scoprono produttori di buona fontina e nocetta anche a Courmayeur. Ci si diverte a raggiungere piccoli allevatori in frazioni sconosciute, lasciandosi condurre nelle cantine dove acquistare burro e jogurt, nonché vero formaggio a pasta cruda.
La storia delle montagne è legata strettamente a quella del latte. Fra tutti i prodotti di qualità che in Vallée si possono trovare, tra cui frutta e vino, miele e Genepì, lardo e prosciutto DOP di nome e di fatto, i latticini costituiscono la summa e la vetta della tradizione gastronomica locale. Ma il latte deve essere rispettato anch’esso, perché possa davvero rallegrare la tavola e lo spirito. Per fortuna sopravvivono artigiani che lo lavorano con maestria e sapienza, resistendo al richiamo invitante dell’industria casearia.
Anche le valli ed i paesi, a loro modo, esercitano un voto di resistenza e di sopravvivenza, di anno in anno. Sono numerosi quelli che si rifiutano di omologarsi allo sviluppo turistico dominante dal Monviso alle Dolomiti. In un gioco tenace di concessioni e battaglie per la conservazione, ci sono villaggi e borgate della Vallée che mantengono una propria integrità donando al viaggiatore immagini di (ormai) rara bellezza. In questi luoghi l’atmosfera è ancora rilassata e serena, soprattutto se non si entra con arroganza, rispettando l’ambiente locale.
Non è solo la Svizzera a custodire tali gemme. Questo è un mito da sfatare: gli Elvetici promuovono la qualità, ma soprattutto sanno venderla, minimizzando almeno all’apparenza gli scempi e rifacendo l’immagine alle mele marce. Al di qua delle Alpi siamo meno capaci di fare sistema e di coordinarci nella promozione; eppure ci sono molte teste matte in giro per valli e paesi che caparbiamente, di giorno in giorno, rispettano l’ambiente e lo valorizzano.
Se è ancora possibile camminare su manti rigogliosi di natura e di storia, nonostante la massificazione dei consumatori e la scomparsa degli elementi tradizionali del territorio, lo dobbiamo al lavoro silenzioso e tenace di questa gente. Anche in Vallée. Valdostani purosangue interpretano con la propria vita ed il proprio lavoro il comandamento del servizio, anche nel produrre pane o formaggio.
A noi si chiede il coraggio di cambiare il nostro stile di turista occidentale, viziato dal pacchetto vacanze ed intorpidito nella mente, oltre che nelle gambe. Cercare la qualità nei prodotti e pretendere il rispetto degli ambienti alpini possono essere due comandamenti. In realtà sono facili da seguire. Si tratta di un investimento di tempo e di energie dal sicuro, anche se lento, rendimento. Un capitale di esperienza da accrescere e mettere a nostra volta al servizio degli altri, nei contesti in cui viviamo.
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