Come iniziare bene una giornata? Pane croccante, coltello imburrato e palato deliziato!
Gli alsaziani vanno e vengono, nessuno rinuncia a croissant e baguette. Ma noi siamo in ferie e guardiamo incuriositi, per questa volta, i lavoratori di fretta. La capitale del Belgio sarà la prossima tappa e vogliamo partire dall’Alsazia conservandone il gusto il più a lungo possibile…
Appena fuori Bruxelles risiede un vecchio amico di famiglia di Anto: perfetto esempio di italians – Severgnini avrebbe di che divertirsi. Imprenditore, intraprendente, flessibile, cuoco per spirito e sempre sorridente. Un piacere farsi ospitare nella bella casetta, prima di prendere di petto il caos della città. Non sarà un incontro facile venendo da vigneti, boschi e micro paesi.
“Svaligiamo” in un ostello, classicissimo e internazionalissimo, proprio come la città che ci permette di visitare. Luogo di incontro/scontro tra Vallone e Fiandre, belgi del nord e belgi del sud, cultura fiamminga e cultura francese. Città istituzionale, nazionale ed europea, carissima e lussuosa. Con alcune peculiarità che, da sole, giustificano almeno un scappatella. Anche fugace, come la nostra!
La combricola è ora al completo: nel quartiere più malfamato ed autentico della città incontriamo Cambo e Ale che si pentono immediatamente di non aver studiato bene il meteo di Bruxelles. Sono giorni di pioggia e freddo, giacche a vento e scarpe buone da mettere ai piedi. In città incontriamo anche una vecchia amica che gentilmente si improvvisa guida per noi: la cara Fra del liceo, oggi alla prova della macchina europea, tra vincoli (tanti) e privilegi (pochi).
Noi siamo comunque ben intenzionati a cancellare la politica dalla nostra agenda. Vogliamo occuparci di Bruxelles come capitale della birra e del cioccolato… O almeno, il sottoscritto si appassiona a questi due prodotti – mentre gli altri si affannano, talvolta goffamente, a seguire le mie spedizioni tra praline e boccali. Non che la cosa li disgusti, ovviamente ;-)
Ho trovato una città sempre più fissata su fave e luppoli: negozi di cioccolato ovunque e per ogni gusto, centinaia di diverse varietà di birra, alcune al limite del ridicolo. Bruxelles come somma delle tradizioni nazionali, certo, e concentrato delle tendenze commerciali di maggiore successo. La capitale di un Paese che si vende in una pralina, da buttar giù con una birra. O magari ormai si svende?
La mia curiosità non può che essere appagata in un modo: provando, degustando. In questo caso, un compito squisitamente piacevole – ed esagerando anche un po’ rovinoso! Si parte all’aperitivo con una prima birra A la Mort Subite per scaldare animo e corpo. Si apre così il mondo delle birre belghe, dalla Gueuze alla Witbier, dalla Kriek alle Trappiste – insomma, di una cultura alternativa al vino. A cena proviamo qualche piatto tradizionale: stoemp, waterzooi… Cucina gradevole in un locale simpatico – che smentisce per una volta i pregiudizi sulle piazze centrali delle città :-)
Prossimo locale, nuova birra. In verità non una, ma quasi mille varietà – giusto per far venire subito il mal di testa e non pensarci più! Difficile resistere alla voglia di provare di tutto, rischiando di mescolare troppo e non capire più nulla. Eppure riesco a deviare le birre più forti, come le fantastiche St Bernardus Abt 12 e Maredsous 10 (indicativamente, i numeri sono la gradazione alcolica!), ai miei compagni di viaggio, per dedicarmi completamente ad un tipo di birra particolare, l’anello mancante tra vino e birra… la Lambic.
Acida, quasi ferma, apparentemente spenta e decisamente difficile da comprendere… ti conquista, se mai ci riesce, solo lentamente. Descrivere queste birre non saprei, perché siamo in grado di riconoscere solo i gusti che conosciamo. E questo proprio non sappiamo cosa sia! Al naso trasmette l’essenza stessa della fermentazione, che in questo caso è naturale e lunga anni interi. Al palato esprime il malto in tutta la sua splendida complessità, sempre diverso, mai scontato.
Assolutamente da provare e riprovare, senza fermarsi alla prima disgustata reazione (solitamente ;-). Anni fa ne ero rimasto incuriosito – ora ne sono rimasto affascinato. Come poche altre cose, misteriosamente mi ha conquistato, accompagnandomi lungo tutto il viaggio. E ora che sono nel Bel Paese, regno della birra chiara amarognola e spesso inutile, ritrovarla sarà un’impresa non facile!
La serata si chiude dopo vari boccali, in un allegro delirio che giustifica il nome del locale, così come l’agognato letto. Eppure dormo poco, non voglio restare in branda: il giorno è nuovo ed è il momento di lasciar perdere i liquidi per concentrarsi sulle consistenze vellutate, morbide ed appaganti del cioccolato belga. Una buona colazione, anche se un po’ combattuta (la mia vita per un bicchiere d’acqua… mai avuto, sigh!), prepara al vizioso giro di Bruxelles che ho in mente: diversi maitres chocolatiers per diverse interpretazioni delle stesso prodotto.
Da qualche parte ho letto che la Francia si è imposta nel tempo coma la patria del cioccolato scuro (noir), la Svizzera è diventata la protagonista di quello al latte (perché non sanno più dove metterlo?), mentre il Belgio e Bruxelles in particolare ha fatto evolvere la materia prima in arte assoluta: quella della pralina e delle sue tante varianti. Ganache, créme fraiche, truffle, manon, fruits ricoperti… c’è qualcosa per ogni palato!
In città si trovano negozi di tutte le più importanti case produttrici a livello mondiale. Molti ormai sono produttori commerciali, fra cui alcuni di alto e altissimo livello, come Valrhona con i suoi quadretti purissimi o Marcolini con le sue composizioni che sembrano prender vita. Altri sono abili commercianti che offrono un buon prodotto medio ma mai scontato – e sono la maggioranza: Nuehaus, Godiva, Leonidas e molti (troppi) altri. Il difetto di questi ultimi è l’omologazione dei prodotti, nonostante la ricerca continua di unicità.
Restano infine i pochi artigiani. Anche se non sempre vale l’equazione artigiano = arte = prodotti unici – qualche volta i conti tornano (qui, qui e qui per altri dolcetti). E pure i clienti, evidentamente, conquistati in gola e mai più capaci di saziarsi. Personalmente, ho trovato la mia epifania da Mary, raffinato e appartato maitres le cui praline sciogliendosi in bocca infondono sensazioni difficilmente paragonabili.
Ma è pur sempre vero che anche altrove si possono vivere esperienze simili. Per me resta insuperabile un vecchio barbone toscano… Questione di gusti, forse. Questione di umore, cultura, predisposizione nel corpo e nell’animo? Sicuramente. E poi c’è quello che sentiamo nel momento stesso in cui viviamo un’esperienza: incalcolabile e imprevedibile. Unico. Quel momento, un istante a volte così intenso e rapido da sfuggirci sotto il naso, dona ad ogni cosa tono, aroma, colore, vita.
Infatti rimango col rimpianto delle patatine di Chez Antoine in Place Jourdan, squisite senza paragoni eppure mangiate frettolosamente e quasi disgustate per l’agitazione. Purtroppo me ne pento solo lungo la faticosa strada che porta nelle Fiandre Occidentali, quasi al confine con la Francia. La meta è ancora qualcosa di unico, speciale come poche altre cose. Eppure, mi chiedo, vale l’amarezza dello stress?
Al momento non si può sempre risolvere il dubbio. Bisognerebbe cancellare tutto e ripartire a mente fresca – cosa quasi impossibile. Così la rara e decanta Birra Vestvleteren entra nel baule ormai colmo dell’Audi, per restarci a lungo. Ovviamente proviamo le birre nel vicino bistro e ne apprezziamo qualità e sapori notevoli. Eppure manca quel qualcosa che renda speciale il momento – non potendolo creare a tavolino, si può solo aspettare e restare all’erta.
Ora questo prodotto dei monaci cistercensi, che tanto lavoro e meditazione racchiude in 33 cl di bevanda scura, riposa nell’ombra. Riposa al riparo da cattive intenzioni – le mie, come quelle di tutti, che vorrebbero farne qualcosa di forzatamente speciale, oppure qualcosa di inutilmente banale. Birra o arte, questo il dilemma! Che vale per il vino, il cioccolato, il tartufo e il caviale, il pata negra e l’aragosta blu… per ogni prodotto alimentare che sia entrato nel circolo vizioso ma prezioso del consumismo.
Quella birra aspetta il suo momento di verità, mi sono detto. Perché, per una birra come per l’uomo, un momento di verità è quello che ne rivela la natura profonda: materia e arte in una unione che è comunione con chi ne fa esperienza. Aspetta, ma solo di essere consumata un giorno, prima che quella verità sfiorisca nella morsa del gelo – ovvero il disinteresse, la mancanza di passione che è il grande peccato del nostro tempo.
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